IL FIGLIO DEL BOSS. IN UN LIBRO PASQUALE MAURI RACCONTA COME RIFIUTO’ LA CAMORRA

IL FIGLIO DEL BOSS. IN UN LIBRO PASQUALE MAURI RACCONTA COME RIFIUTO’ LA CAMORRA

Un nome che pesa, cosa mai vorrà dire? È un concetto che un bimbo non potrà mai capire. Non può comprendere perché lui che è ricco è solo,tremendamente solo, in una casa in cui neppure il dono del sorriso materno gli è dato in sorte di avere. Gli avevano detto che la mamma era morta. L’affetto più vicino a quello materno era quello della nonna paterna fra le cui braccia trovava rifugio e conforto. E quel padre, chi era quel padre? Anche lui doveva pronunciarne il nome sottovoce? Come può un bambino amare suo padre, sottovoce, temendone il nome, lo sguardo, le parole? Eppure lo avevano abituato così, educato al ” rispetto” verso un uomo di rispetto. Suo padre era Vincenzo Mauri , detto ” Vincenzo Settevite, Don di Sant’Anastasia, borgo vicino Napoli. Suo padre era un camorrista, uno che era sopravvissuto a diversi attentati che gli avevano valso l’appellativo di Settevite. Dedito all’usura, al traffico di stupefacenti, alle scommesse e alle slot machine, aveva affari loschi nel campo dell’edilizia e nella fantasia popolare veniva ritenuto immortale. Pare fosse scampato a un attentato in cui l’emisfero destro del suo cervello era stato trapassato da una pallottola. Eppure era sopravvissuto. La sua vita era stata un crescendo di violenze e soprusi. Cosa poteva sapere un bambino delle lunghe assenze paterne, di un luogo chiamato Rebibbia che lui a scuola nei temi descriveva come l’unica città conosciuta? Che colpa aveva un bambino per festeggiare i compleanni da solo perché nessun compagno di classe varcava la soglia di casa sua? Che colpa aveva se sognava braccia calde di madre nei freddi della sua solitudine, in quei silenzi che erano modus vivendi di chi gli stava vicino? Cresceva e capiva. Il potere, la ricchezza paterna avevano un costo: la solitudine.Le macchine, il lusso, avevano un prezzo pagato caro: la libertà di essere se stesso. Che filosofia di vita possedeva quell’uomo che chiamava padre? A vivere come un topo spaventato che tiranneggiava per non essere tiranneggiato, che faceva della prepotenza il substrato del rispetto che gli veniva tributato? E più cresceva e più comprendeva che non era delinquere la sua vocazione, che non voleva vedere il terrore nello sguardo di chi incrociava il suo. Desiderava la stima che nasce dalla conoscenza, il rispetto scaturito dalla condivisione, l’amore che non fosse il baratto di un corpo per un gioiello, o una cena. Ben presto Pasquale, figlio del boss, si convinse di non avere la stoffa per seguire le orme paterne. Forse quella madre morta aveva impresso un’impronta molto profonda dentro l’anima di un bambino. Finché la nonna non gli rivelò che la madre non era morta ma era stata costretta a scappare. Come crolla il mondo sulle spalle di un ragazzino! Un padre che aborriva e una madre che lo aveva abbandonato. ” Perché se ne è andata? Perché mi ha lasciato in un inferno di silenzi, urla, minacce e con una sola lezione da imparare: non devi parlare”( Pasquale Mauri). Scavo’ il ragazzo dentro il suo passato. E per farlo passò attraverso la morte del padre ucciso davanti ai suoi occhi in un bar . Passò attraverso la spasmodica e incessante ricerca della madre che trovò in Inghilterra. Fosse stato vivo il padre glielo avrebbe impedito. Quell’uomo aveva picchiato, seviziato,segregato la sua donna, la madre di suo figlio. Lei aveva cercato di rapirlo e scappare con lui. Ma suo padre aveva scoperto il piano e l’aveva costretta ad andare via senza di lui. Aveva impedito all’amore di albergare nel cuore di un bambino cercando di rendere quel cuore intriso di malvagità come il suo. Ma non è riuscito nell’intento di inquinare un’anima avulsa da quel modo di vivere e pensare. La madre ritrovata è una donna traumatizzata, la vita l’ha ferita tanto e chiede al figlio, dopo il loro primo incontro, di non cercarla più perché ” non sa come si fa la madre”. Il suo mondo torna a farsi solitario. Dipinge Pasquale, dona alla tela i colori dei suoi umori, una solitudine eccelsa di paesaggi e di anima. Ha trovato l’amore Pasquale, quello di una donna nel cui sguardo sa esserci il porto per le sue inquietudini. Ha due figli, il figlio del Boss. Lui che avrebbe dovuto essere l ‘erede del capo, il successore alla guida del clan , dice no alla camorra. Ha rinunciato alle ricchezze paterne donando in beneficenza quel denaro che stillava sangue. Ha tenuto per sé solo l’eredità della nonna, che gli ha consentito di aprire due negozi di abbigliamento. Ha scritto un libro assieme alla giornalista Graziella Durante dal titolo ” Il figlio del Boss” Cairo editore. Un nome che pesa. Ma Pasquale sa che le colpe dei padri non ricadranno sui figli se questi hanno il coraggio di smarcarsi da un mondo fasullo, se ameranno dormire nel letto che loro stessi costruiranno. Se al potere di un nome preferiranno l’essere che ad ogni giorno del vivere dona la sua impronta. E regala il rumore di un sorriso spontaneo di uno sguardo limpido capace di spazzare via il silenzio torbido della paura del ricatto della violenza. Pasquale ha affidato ai colori, ai pennelli, a una vita modesta, il riscatto da quella solitudine che lo aveva attanagliato, e il suo nome non ha più un peso opprimente, è quello di un uomo che conosce il valore della dignità, unica eredità da lasciare a due adolescenti che non hanno paura del loro papà.