CAMPIONI MANCATI. IN UN LIBRO LA VITA TROPPO LIBERA DEL TENNISTA PALPACELLI
Ogni campo ha il suo genio ribelle: il tennis ha Roberto Palpacelli, o forse è il caso di dire avrebbe avuto, dal momento che campione non lo è mai diventato. Talento cristallino, scoperto da Panatta e Bertolucci, a sedici anni è già un fuoriclasse: lo vogliono a giocare tra i grandi, vogliono che entri nella nazionale:“Salve, io sono Roberto. E in questo lager non ci voglio stare un giorno di più, altro che venirci a vivere”, questa la risposta di colui che verrà poi chiamato “Il Palpa”. La sua vita da ribelle è ora un libro autobiografico, uscito due giorni fa, scritto a quattro mani con Federico Ferrero ed edito da Rizzoli: “Il Palpa. Il più forte di tutti”. Sarà stato anche il più forte di tutti (in qualche blog di tennis c’è chi dice di averlo visto giocare dal vivo e sostiene che “di Roberto Palpacelli non ne nascono spesso… chissà quanti anni dovranno passare prima di averne un altro”), ma il brutto caratteraccio non ha certo aiutato al decollo della sua carriera. Diversi gli aneddoti che lo accompagnano: che abbia battuto tre volte Boris Becker, che a 16 anni abbia iniziato a colpire smash con il manico della racchetta per dare un po’ di pepe a una partita noiosa (perdendola), che a 17 anni, convocato in coppa Europa con la Nazionale, si sia fatto cacciare dal ritiro per alcol e sesso, che fosse in grado di giocare tenendo in una mano una bottiglia di birra e nell’altra la racchetta… . Insomma, genio e sregolatezza: come Sergei Polunin, talentuosissimo ballerino che se ne andò dal Royal Ballet di punto in bianco, al massimo della sua carriera, perché non sopportava le rigide regole del mondo classico (o forse per qualche altro motivo in più). Insomma, niente carriera per Palpacelli, che pare ora pentito:“Ho sbagliato, ho vissuto di rendita sul mio talento. Ho voluto andare a duecento all’ora, come la palla di servizio che tiravo a sedici anni, ho scelto di fare il ribelle. Ne ho pagato le conseguenze”.E ancora: “chi da giovane sceglie solo di divertirsi perché non capisce il motivo di doversi impegnare in faccende difficili e noiose, si condanna da adulto a non divertirsi mai. È vero. Ora, guardandomi indietro, capisco che è andata davvero così”. Nella sua vita, oltre ad alcol e sesso, anche la droga:“Negli anni Ottanta, San Benedetto, dopo Verona, era considerata la città più tossica d’Italia […] Salutai e dissi che volevo provare qualcosa, così, senza preamboli: un tipo tranquillo e gentile, mi portò ai bagni pubblici e mi fece sniffare dell’eroina. Fu il mio primo tiro: una sensazione fantastica.” Da lì la discesa, la fine di una carriera nemmeno iniziata, la dipendenza che diventa troppo, l’entrata in comunità. Ora Palpanelli sta meglio, vive a Pescara con la compagna e il figlio, e ha deciso di scrivere la sua storia, se non altro per prenderla come esempio da non seguire.
