IL VECCHIO CLINT TRA I FIORI E LA DROGA

Scarnificato, lungagnone e dinoccolato, Clint Eastwood non delude nei panni del quasi novantenne “autista” della droga al centro del suo nuovo film “Il corriere – The Mule”, che esce il 7 febbraio nelle sale italiane con Warner Bros (in patria ha incassato 100 milioni di dollari). Ci sarà modo di parlarne diffusamente la settimana prossima, intanto, a film appena visto, bisogna riconoscere che Eastwood, classe 1930, sembra essersi cucito addosso il ruolo di Earl Stone, personaggio ispirato a Leo Earl Sharp (1924-2016), che fu il vero corriere assoldato da un potente cartello messicano per trasportare su un pick-up nero, confidando sulla sua rassicurante presenza e sulla guida calma, centinaia e centinaia di chili di droga in barba alla Dea. Eastwood è magnifico nell’invecchiarsi ancora un po’ rispetto alla realtà, mostrando ogni singola ruga del viso, delle braccia e del corpo smagrito, quel sedere piatto, ormai inesistente sotto i pantaloni larghi, attraversando il film come un piccolo enigma umano: pessimo padre e marito ma delicato coltivatore di fiori, veterano politicamente scorretto che dice ancora “negro” ma anche uomo spiritoso e gentile dalla battuta pronta. Perché diventò “un mulo” del narcotraffico? Bisogna vedere il film. “Hai vissuto così tanto che forse non hai più filtri” gli dice l’ignaro poliziotto interpretato da Bradley Cooper in un dialogo stupendo davanti a una tazza di caffè; ma forse lui, Stone, non ha mai avuto filtri, e qui sta la forza bizzarra della storia. Era dal 2008, dall’anno di “Gran Torino”, che Eastwood non recitava in un suo film, temevo che il suo ritorno davanti alla cinepresa, una decade dopo, sarebbe stato un po’ patetico: mi sbagliavo. Il film è crepuscolare ma non piagnone, a tratti anche divertente. E un po’ meraviglia che gli Oscar l’abbiano completamente snobbato.