IO CHE HO INTERVISTATO MIA MARTINI

Marzo 1989: era appena tornata trionfalmente in pubblico vincendo il secondo Premio della Critica a Sanremo con “Almeno tu nell’universo” (brano scritto per lei da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio nel 1972, ma rimasto inedito). Domenica Bertè, detta Mimì, in arte Mia Martini, era abituata alle rinascite, ma questa era stata la più travagliata, preceduta da un lungo periodo, quasi sei anni, di volontario esilio nella amata campagna umbra. Intervistare Mia era sempre stato complicato: non perché fosse poco disponibile, anzi chi la incontrava scopriva una donna deliziosa, ironica e profonda, ma era una persona intelligente e di carattere e si sa che, come diceva Oscar Wilde: “Quando una donna ha carattere si dice sempre che ha un brutto carattere”. Forse fu per questo che Carlo Verdelli, allora vicecaporedattore di Epoca oggi direttore di La Repubblica, affidò a me, che avevo fama di entrare in sintonia con i personaggi “difficili”, il compito di cercarla. Non fu affatto difficile, anche se per i tempi stretti a disposizione, mi dovetti accontentare di sentirla telefonicamente. L’intervista telefonica era un genere poco frequentato, allora dalle grandi testate che, per la freschezza che restituisce al lettore una chiacchierata dal vivo, preferivano inviare i giornalisti a incontrare i personaggi. In questo caso, poi, sentirla telefonicamente rendeva ancora più arduo il mio compito: perché il tema del colloquio era la sua fama di “jettatrice”, una delle principali ragioni che l’avevano portata a ritirarsi per anni dalle scene. Mia affrontò l’argomento di petto, bastò accennarlo perché dalla voce roca e sensuale, che nelle canzoni scalava le ottave senza esitazione ne affanni, uscisse il racconto di una vera e propria persecuzione, iniziata negli Anni 70 e proseguita, purtroppo senza soluzione di continuità, anche dopo il ritorno e il successo sanremese. Questa intervista, che scrissi volutamente senza domande dirette per suggerire al lettore di ascoltare il flusso emotivo che veniva dalle risposte di Mia, è diventata lo spunto narrativo per l’inizio di “Io sono Mia”, biopic televisivo di Raiuno che confesso di non aver visto, come ho evitato accuratamente di vedere quello su Fabrizio De André. “Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda” recita una delle battute finali di “L’uomo che uccise Liberty Valance” di John Ford.E anche se qui non siamo nel west, Mia Martini è ormai leggenda.