QUENTIN TARANTINO, REGISTA DI CULTO

Regista di culto, se mai ce ne sono stati in questi anni. Quentin Tarantino ha firmato almeno un classico postmoderno come “Pulp Fiction”. Il suo stile: mescolare violenza e ironia. Una violenza talmente esagerata e paradossale da diventare comica. Il suo cinema è spettacolo, prima di tutto. Non copia la vita, copia il cinema. Specialmente i “B movies” degli anni ’50 e ‘60 o le serie televisive degli anni ’70. Ma i suoi dialoghi sono molto interessanti, buffi, e quasi sempre molto “veri”. La violenza nei film di Tarantino ha contorni estetizzanti, quasi giocosi. Crea, viene da dire, allegri massacri: emozione puramente cinematografica. Tarantino non vuole che ci identifichiamo con i suoi personaggi, che soffriamo insieme a loro. Vuole che ci divertiamo. Il suo cinema, quindi, è piacere puro, spettacolo puro. Non vuole essere un racconto sulla realtà, né uno strumento di indagine, di commento sociale, o politico, o psicologico. Le sue storie sono fantasie: non ci deve essere per forza una morale. La Sposa cerca vendetta contro Bill che ha cercato di ucciderla, le iene compiono una rapina chiamandosi l’un l’altro con nomi di colori; Vincent Vega uccide come se fosse un lavoro qualunque, Jules ha un’illuminazione e decide di non uccidere più. Butch rischia la vita per recuperare un orologio che era stato di suo padre, e di suo nonno… Fiction. Pura fiction. Il piacere che se ne prova è puro piacere della narrazione, della sorpresa, della suspense, colpi di scena e tensione. Non dobbiamo trarne una lezione sul nostro modo di vivere.