IL GESTO DI UN SINGOLO PUÒ SCATENARE UN CATACLISMA REGIONALE. STORIA DI ADIL

IL GESTO DI UN SINGOLO PUÒ SCATENARE UN CATACLISMA REGIONALE. STORIA DI ADIL

Di Adil Ahmed Dhar è rimasto poco. Resti dilaniati, appesi agli alberi e a insanguinare la strada di Lethpora, regione di Pulwama, nel Kashmir. Adil si è fatto saltare il 14 febbraio a bordo di un veicolo-bomba, con oltre 200 chilogrammi di esplosivo. Ha ucciso oltre 40 agenti indiani. Ora i suoi lo commemorano, lo pensano «in paradiso». I compagni separatisti lo celebrano come un eroe. Ma è qualcosa di altro. Adil Ahmed Dhar è un fiammifero usato per appiccare un incendio. La sua è la perfetta e drammatica spiegazione di come un gesto individuale possa innescare una reazione catena con conseguenze gravi. Tali da spingere due potenze nucleari – Pakistan e India – ad uno scontro aperto. Prima le cannonate (consuete sul confine), poi i raid aerei, i caccia distrutti, gli accampamenti arati dalle bombe. Come in Medio Oriente, il singolo, con la sua azione semplice quanto distruttiva, è in grado di disarticolare grandi sistemi, accendere crisi, far precipitare situazioni già in bilico. A volte basta nulla, se nullo è il valore della vita umana.E pensare che la polizia indiana aveva schedato Adil non come particolarmente importante. Anzi contava poco, un estremista di basso livello. Nella scala di pericolosità lo avevano contrassegnato con la lettera C, prima di lui ci sono i terroristi di categoria A e B. Una sorpresa e una tattica. L’intelligence è convinta che la fazione alla quale apparteneva il kamikaze, Jaish-e-Mohammed, abbia deciso di usare volontari poco noti proprio per aggirare i filtri della sicurezza. Un profilo normale che probabilmente ha colto di sorpresa le sentinelle e i genitori dell’attentatore, che pure ne conoscevano l’impegno politico.Diciannove anni, originario di Gundibagh, Adil ha frequentato la scuola in modo saltuario, passando gran parte del tempo in lavori saltuari. Muratore, falegname, operaio, desiderava diventare un religioso preparato. Infatti aveva imparato otto capitoli del Corano a memoria – racconta il padre ambulante -, una vocazione accomunata al sostegno alla lotta contro l’India. Insieme a lui due cugini, uno dei quali morto in combattimento nelle file di un gruppo radicale appoggiato dai servizi pachistani, Lashkar-e-Toiba.Probabile che Dhar sia stato arruolato circa un anno fa, con altri giovani, per rimpiazzare i «fedayn»deceduti in missione. Un passo reso più facile dalla sua motivazione. I genitori descrivono un passato turbolento, le botte della polizia – gli avevano quasi spaccato il naso -, la partecipazione a cortei di protesta dove aveva riportato delle ferite. Segni visibili uniti ad una rabbia profonda su cui hanno fatto leva i «senders», i gestori dei kamikaze, professione particolare e spesso poco studiata.Lo hanno preparato all’attacco, lo hanno imbevuto di ideologia, lo hanno portato per mano fino al passo finale. Un percorso intrecciato di fede e insurrezione alimentato anche da quello che molti kashmiri subiscono per mano delle autorità indiane. La repressione può trasformarsi nell’additivo, nella molla che proietta un attivista sul sentiero di morte, convinto di essere nel giusto anche quando ammazza.Adil ha seguito la coreografia del «martire». Finito il turno di lavoro, è scomparso, non è tornato a casa, ha deviato dal solito tragitto. Per sempre. Ha registrato un video dove appare armato, enuncia proclami, esalta la rivolta, convinto di emulare i talebani. I complici lo hanno ribattezzato il «commando Waqas», nucleo di un solo uomo. Il suo testamento è un modello. Infatti l’anti-terrorismo è alla ricerca di un sospetto, temono sia il prossimo della lista, pronto ad attivare la carica esplosiva. Per scatenare un secondo round nel conflitto indo-pachistano.In queste fase i due nemici si scambiano accuse, però non vogliono che tutto degeneri. Islamabad ha rilasciato il pilota come segno di buona volontà, ma i veleni restano. Così come la pira di legna del prossimo rogo.DA CORRIERE DELLA SERA CARTACEO