LA MENZOGNA DEL RUSSIAGATE MOSTRA IL DECLINO INARRESTABILE DEGLI USA

LA MENZOGNA DEL RUSSIAGATE MOSTRA IL DECLINO INARRESTABILE DEGLI USA

Guardato da vicino, ilRussiagate— con il quale ildeep stateha cercato di squalificare il Presidente eletto — ha mostrato al mondo, per tre anni consecutivi, un’America assai simile a una repubblica delle banane, penetrabile, vulnerabile, manipolabile dal nemico Putin, dalla Russia. La prima potenza mondiale, quale l’America continua ad essere, si è descritta squallidamente come oggetto in balia di piani altrui.La lotta politica interna è divenuta più importante del prestigio internazionale. I principali giornali e le principali catene televisive hanno descritto il presidente in carica come unassetdel nemico. I suoi più fidi collaboratori vengono messi sotto processo. Ricattati platealmente dagli inquirenti ostili a Trump— come è il caso del suo avvocato di fiducia — lo apostrofano come “bugiardo” e “razzista” davanti alle telecamere di tutto l’Occidente. Non un solo dossier interno e estero è stato portato a compimento. Valga per tutti l’esempio della crisi nei rapporti con laRepubblica Popolare di Corea, passata improvvisamente dal calor bianco di una guerra imminente a un negoziato avventuroso che è stato presentato come risolutivo pochi mesi prima di sfociare in un clamoroso fallimento. Altrettanto grave la rottura radicale del negoziato con l’Iran, che ha letteralmente costretto tutti gli alleati europei a dissociarsi dagli Stati Uniti, mentre metteva in grave difficoltà un presidente iraniano che si era impegnato al dialogo rinunciando a tutti i progetti nucleari. Il tutto per non dispiacere alle lobbies israeliane che dominano palesemente gli atti dell’Amministrazione americana spingendola allo scontro con Teheran. Ultimo atto di una tale resa americana è stato il decreto di Trump che ha assegnato le siriane alture deiGolanalla proprietà israeliana, in violazione di decine di risoluzioni della Nazioni Unite e contro il consenso degli stessi alleati auropei. Difficile prevedere fin dove questa “caduta” dell’Impero si spingerà. Ma l’impressione generale è chesiamo di fronte a un declino inarrestabile. Le vicende storiche hanno mostrato che un impero può cessare  di esistere in tanti modi e in tempi molto diversi. Ma la fine si è sempre annunciata inequivocabilmente quando si è visto che c’è chi può permettersi di dire pubblicamente all’Imperatore che non eseguirà i suoi ordini.  In questo caso sono sempre più numerosi coloro che colgono la debolezza dell’élite americana, di una classe dirigente che non è più capace di guardare criticamente alle proprie azioni. Tutti i media occidentali — che, avendo gli stessi padroni, copiano quelli americani — hanno continuato a propalare la favola deiRussiagateincuranti della contraddizione plateale tra l’affermazione isterica di una Russia che dominerebbe incredibilmente lo spazio del web, e la realtà quotidiana del dominio dei “mostri”[1]che questo spazio popolano e che sono tutti americani. SonoGoogle, Facebook, Apple, YouTube, Twitter, Spotify, Yahoo. I loro server, i loro algoritmi, sono tutti americani. I regolamenti li fanno loro, in modi imperscrutabili.Il web intero è nelle loro mani.Solo Cina e Iran, per il momento, hanno costruito parziali barriere difensive verso la penetrazione dei “contenuti” esterni e dell’hackeraggio americano.  La Russia è rimasta invece del tutto esposta e indifesa avendo mantenuto aperto e senza ostacoli lo spazio cibernetico. Ma non potrà mantenerlo tale a lungo, pena la sua stessa sopravvivenza come potenza di livello mondiale. Ecco perché ilRussiagateè stata menzogna ridicola. Certo la Russia non è così indifesa da poter essere “spenta” dai servizi segreti statunitensi, come accadde alla Siria in piena guerra[2], ma che la Russia fosse in grado, con i suoi modestissimi mezzi ed esperienza nel campo, di influire sull’opinione pubblica americana, o tedesca, o francese, è accusa a tal punto ridicola da poter essere paragonata al racconto quarantottesco, in pieno Piano Marshall,  dei “russi che mangiavano i bambini”. L’epitaffio finale di questa storia l’ha scritto una web TV scandinava, che trasmette in inglese per milioni di spettatori di YouTube: Naturalmente pochi in Occidente, Europa  inclusa, osarono andare così brutalmente in profondità. Ilmainstreamnon perdona e continua a esistere. E lo dimostra il fatto che ci fu chi scoprì in anticipo la cospirazione. E la rese pubblica poche settimane dopo il suo inizio. Ma nel silenzio generale. Furono 17 esperti di assoluto valore tecnico, tutti americani. Tutti ex agenti dei servizi segreti americani che si sono riuniti in una associazione dal nome alquanto sarcastico:VIPS, che sta perVeterans of Intelligence Professionals for Sanity. E che inviarono un Memorandum pubblico a Trump per avvertirlo di quanto stava accadendo e per invitarlo a dare un’occhiata a quelli che gli stavano intorno(leggi qua). Fecero un’indagine forense in piena regola, cosa di cui erano esperti, edimostrarono che non c’era stato nessun hacker esterni, nessun attacco cibernetico russo sul quartier generale del Partito Democratico. Dimostrarono che le famose mail di Hillary Clinton non erano state trafugate da Mosca; che non c’erano e non potevano esserci le “impronte digitali russe” semplicemente perché qualcuno era entrato, a Washington, nella sede del Partito Democratico, e aveva copiato 1976 megabytes di dati in 87 secondi. Una velocità di molte volte fisicamente superiore a quella di ogni possibile intrusione di hackers lontani. Chi fosse il fantomatico “Guccifer 2.0” non poterono dirlo i 17 VIPS, ma suggerirono a Trump di chiederlo all’FBI, al suo capo, Coney.E portarono la prova: nessuna delle 17 agenzie di spionaggio americane si era preoccupata di andare a verificare i dati e le date. L’intrusione era avvenuta il 5 luglio 2016 al mattino presto del fuso orario della costa orientale degli USA. Negligenza collettiva?Più probabilmente complicità collettiva. n più scoprirono che, sia la CIA che la NSA , da tempo dispongono di strumenti cibernetici in grado di creare false operazioni di hackeraggio e di attribuirle, in forma difalse-flag,a uno qualunque degli avversari presi di mira. [1]La definizione appartiene a Chamath Palihapitiya, ex vice-presidente di Facebook, ormai pentito. [2]Si veda, in proposito, il film di  Oliver Stone,  “Snowden”, dove lo stesso protagonista racconta l’errore commesso da uno dei membri della sua squadra di hacker, in seguito al quale la Siria venne improvvisamente privata di energia elettrica. Nel febbraio 2019 la stessa sorte toccherà al Venezuela di Maduro, con un black-out durato oltre tre giorni consecutivi. [3]Pochi hanno ricordato, nel corso dell’anno in cui esercitò le prerogative dell’inquirente principale che avrebbe dovuto portare Trump alle soglie dell’impeachment,che Mueller era il capo dell’FBI l’11 settembre 2001. Dunque depositario di segreti di Stato cruciali sul più grande attentato terroristico mai avvenuto. [4]Parole pronunciate da Tom Fitton, presidente dell’autorevole Judicial Watch, mentre chiedeva, insieme al senatore Rand Paul, l’incriminazione dei membri della ex squadra di Barack Obama. [5]The Herland Report, 28 febbraio 2019.