LIBIA: HAFTAR MARCIA SU TRIPOLI. E’ IL PIU’ FORTE, PECCATO NON SIA DEI NOSTRI
Prosegue senza interruzioni in Libia la strategia di Khalifa Haftar leader indiscusso della Cirenaica. L’Esercito nazionale libico, guidato dal maresciallo Haftar, è infatti entrato nella città di Garian, 100 chilometri a sud della capitale Tripoli. Lo ha reso noto, secondo l’Agenzia Agi, il portavoce della forze armate di Bengasi, Ahmed al Mismari. “I nostri uomini sono stati accolti in festa dalla popolazione di Garian”. Ma qual è la strategia di Haftar e a cosa punta in realtà il suo impegno militare? Facciamo il punto della situazione. A partire dal crollo del regime di Gheddafi, nel 2011, culminato nel suo assassinio fortemente voluto dai francesi e festeggiato con sghignazzamenti postribolari da Hillary Clinton, la Libia risulta divisa in due o per meglio dire tre aree: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Quella che fa riferimento a Tripoli, con il Presidente Serraj, è ufficialmente appoggiata dalle Nazioni Unite. E’ infatti a Tripoli in questi giorni il segretario delle Nazioni Unite Guterres. Non è certo casuale che Haftar, leader della Cirenaica, si stia muovendo verso la periferia di Tripoli per far sentire a Guterres che il governo da lui appoggiato è sull’orlo dell’impotenza e con l’acqua alla gola. Il governo di Tripoli è appoggiato anche dagli Usa, ma Trump da quelle parti non vuole rimetterci nemmeno il pneumatico di una Jeep e quindi ha detto all’Italia “Armiamoci a partite”. Noi siamo partiti, ma praticamente disarmati. La zona ci interessa perché è un punto di riferimento per la nostra industria petrolifera, tanto più importante da quando, con la caduta di Gheddafi, la Francia, grande amica di Haftar, ha iniziato una lunga marcia, fin qui abbastanza lenta, per sostituire la Total all’Eni. Inoltre, da quelle parti, dopo la caduta di Gheddafi, ha preso ad intensificarsi il traffico dei disperati che dal Sahel e dal Medio Oriente tentano di attraversare il Mediterraneo. Un flusso fermato negli ultimi mesi con modalità, prima alla Minniti, poi alla Salvini, sulle quali chi parla di “umanità” trova qualcosa da ridire. Sta di fatto che su Serraj stiamo spendendo la nostra credibilità senza però l’intenzione di sparare un colpo in sua difesa. Anche perché a sparare sulle controparti potrebbe finire male. Potremmo colpire qualche amico di Haftar che ne ha parecchi, nei vari angoli del globo. E quegli amici hanno, appunto, altri amici che, localmente, sono sul campo di battaglia. Stanno infatti con Haftar i francesi e gli inglesi, nostri concorrenti in materia di idrocarburi. Ci stanno pure i russi, che avrebbero favorito una nostra mediazione se noi non l’avessimo rifiutata, timorosi di far soffrire Washington. Pare che pure i cinesi abbiano iniziato ad interessarsi della cosa. E ci stanno pure gli egiziani di al Sisi, che oltre ad avere con noi la vertenza sul caso Regeni, sono incompatibili con la nostra amicizia con Serraj, colpevole ai loro occhi di particolari benevolenze nei confronti dei Fratelli Musulmani, nemici mortali del governo del Cairo. Stando così le cose Haftar ha avuto fin qui buon gioco nello sfruttare la sua potente rete di alleanze per portare avanti una marcia trionfale sia politica che militare. Terza parte del territorio libico, oltre a Tripolitania e Cirenaica è il sud denominato Fezzan. Qui, un territorio popolato da bande e milizie di ogni genere e sede di un’impresa Eni si è infiltrato recentemente con le sue truppe Haftar. Il suo stile è quello di dimostrare il proprio controllo sui territori. Il che non porta necessariamente al cambio di proprietà dei detentori dei giacimenti. L’ostentazione del suo potere serve piuttosto a dimostrare che i rubinetti si devono aprire e chiudere quando vuole lui, se si vuole evitare che il suo potere politico si materializzi in quella supremazia militare che pure detiene. Nel caso di questi giorni il meccanismo pare sia analogo. Volontà di liberare Tripoli non tanto dal governo Serraj, quanto dalle “milizie criminali che lo frequentano”. Guarda caso milizie che con Serraj hanno stretto accordi, sia pure strumentali e opportunistici. In più mostrare a Guterres che il suo potere si estende ormai su tutti gli angoli della Libia e che chiunque vuole contare qualcosa da quelle parti deve trattare con lui. Non solo i nemici di Haftar, ma forse anche i suoi stessi alleati. Non a caso, a voler dimostrare che il potere non è tutto nelle mani del rivale, il ministro degli interni di Tripoli Bishaga, braccio destro di Serraj, ha subito dichiarato che è pronto a difendere Tripoli dagli attacchi provenienti dall’esterno. Ci sarà un’offensiva sulla capitale o verrà anticipata da una mediazione politica? Sia come sia il ruolo dell’Italia, alleato timido della parte più debole, appare parecchio evanescente, a dispetto dei forti interessi che abbiamo in quelle terre.
