UNA GIUSTA CAUSA. UNA LODEVOLE IMPRESA IN UNA PELLICOLA CON QUALCHE CLICHÉ DI TROPPO

UNA GIUSTA CAUSA. UNA LODEVOLE IMPRESA IN UNA PELLICOLA CON QUALCHE CLICHÉ DI TROPPO

Esce oggi  nelle sale la nuova pellicola di Mimi Lender interpretata da Felicity Jones e Armie Hammer. Dopo aver vestito i panni dell’ex moglie del genio della fisica Stephen Hawking, l’attrice candidata all’Oscar è ora Ruth Bander Ginsburg, una di quelle donne che la storia si può dire che l’abbia scritta. Entrata nel 1956 al corso di Legge di Harvard, era stata una delle nove candidate ad aver avuto questo privilegio. E nonostante il suo talento, uscita dall’istituto con tanto di lode, aveva avuto seri problemi a trovare lavoro presso uno studio legale. Perché? Perché donna. Proprio così. E se oggi questa velata discriminazione si nasconde dietro sottili illazioni; frasi apparentemente innocue che si insinuano nella pelle di chi le riceve, e come invisibili parassiti tolgono man mano vitalità e sicurezza, al tempo era molto più palese. Nessuno si vergognava di dire “Sei donna e devi stare dietro i fornelli”; “sei donna e devi pensare a mettere famiglia”. Era così e basta. E se oggi occorre una dose di sensibilità forse ancora più massiccia di quella richiesta al tempo, se non altro per riuscire a cogliere la frase stonata dietro il discorso bello; il muscolo immobile dietro il sorriso tenero, al tempo lo scontro era molto più diretto. Ed è questa la battaglia che questa giovane avvocatessa aveva portato avanti per anni: costretta in prima istanza all’insegnamento per l’inaccessibilità degli studi legali a cui ambiva, le capitò per le mani una causa che segnò una svolta, sua, come anche della storia della Costituzione americana. La donna si ritrovò a difendere un uomo non sposato che si prendeva cura della madre, al quale erano stati sottratti i benefici di legge riservati alle badanti, lasciando intendere in questo modo che esistono mestieri e ruoli ben definiti, alcuni dei quali riservati esclusivamente alle donne. Un caso di discriminazione “al contrario”, se così si può definire; pane per i denti della giovane Ruth, che decise di rischiare il tutto e per tutto per portare avanti una battaglia che, partendo dall’interesse di un singolo individuo, avrebbe potuto diventare un caso emblematico che avrebbe creato un importante precedente.Scritta da Daniel Stiepleman, prodotta da Robert W. Cort e distribuita da Videa, quella della magistrata statunitense è una storia senz’altro affascinante quanto importante da raccontare. Un’impresa coraggiosa, la quale, tuttavia, nonostante la lodevole intenzione, porta con sé qualche perplessità, se non altro per il poco pathos con cui è narrata. Ruth Bader Ginsburg è stata un’eroina, una giovane passionaria in grado di farsi valere in un mondo che l’avrebbe facilmente portata a soccombere; una specie di Giovanna d’Arco moderna, se vogliamo trovare un facile paragone, e certo l’interpretazione di una personalità così esuberante non deve essere stata una passeggiata. Ma c’è un appiattimento, una specie di patina che viene gettata sull’intera pellicola che placa gli animi più focosi e rende la narrazione ricca di cliché, talora affettata. L’impressione complessiva è quella di un’opera che non decolla, di quelle che sei lì ad aspettare che succeda davvero qualcosa che non ti aspetti, e il colpo di scena più grosso arriva con la comparsa del giudice Bader Ginsburg – quella vera – che sale i gradini della Corte Suprema. Peccato che subito dopo compaiono i titoli di coda.Ma, dicevamo, questo fior fiore di critiche senza nulla togliere all’intento di base – che poi è quello che conta – di raccontare l’ennesima battaglia per la parità dei diritti.E per la serie diamo a Cesare quel che è di Cesare, per la prima volta questa battaglia viene portata avanti da un personaggio che non è né uno di quegli esseri mitologici metà uomo e metà donna che la cinematografia indipendente talvolta propone – donne che pagano la rivendicazione della parità con la perdita della loro femminilità, nella disperata ricerca di un’uguaglianza con il loro “nemico” – né tantomeno uno di quei personaggi che sacrifica la propria vita sentimentale per emergere nella sfera pubblica. La Ruth di Leder è una donna con tutti gli attributi, in grado di battersi per la propria identità, ma allo stesso tempo accompagnata da un uomo innamorato e in grado di supportarla in tutte le tappe della sua crescita.“Una giusta causa” rimane, quindi, un film a cui un’occhiata vale la pena darla, se non altro per la proposta di un’immagine di donna certamente diversa dai modelli che il cinema, ma in modo più esteso, la cultura, continua a proporre. Nonostante una millantata parità ormai raggiunta.