ZINGARETTI FACCIA IL CONTRARIO DEI SEI SEGRETARI PD PRIMA DI LUI
icola Zingarettiè ilsettimosegretario del Pdse, dopoWalter Veltroni,Dario Franceschini,Pier Luigi Bersani,Matteo RenzieMaurizio Martina, contiamo anche l’interregno diGuglielmo Epifani. Ciascuno di questi sette gli consegna un proprio problema insoluto e riporta al nuovo segretario dossier antichi che ilgovernatore del Laziodeve decidere di chiudere come i delitti diCold caseoppure lasciare in magazzino a impolverarsi ancora. Veltroni fu eletto a furor di popolo e con lanomenklaturaimplorante dopo che il neo-natoPdsi rivelò incapace di darsi una guida e una linea. Lui si fece leader e con alcune invenzioni, tipo «ilpartito a vocazione maggioritaria», dettò anche una linea. Ebbe una grande fronda trasversale che si acuì dopo la sconfitta allePolitiche del 2008, malgrado il brillante risultato, ma che poi divenne impetuosa al punto da spingerlo alledimissionidopo il fallimento diRenato SoruinSardegna. Veltroni aveva il vischio delle dimissioni e il terrore dell’impopolarità cose che fecero sempre di lui un leader auto-dimezzato. Franceschini, suo vice, ne prese il posto rivelano la sua inadeguatezza a fare il numero uno, ma la sua bravura a fare tutti gli altri numeri. Il suo partito né affrontò i “casi freddi” ereditati da Veltroni né dette fisionomia al Pd che cominciò a sognare, in una sua parte maggioritaria, il ritorno a sinistra. Cosa che avvenne con Bersani, questa singolare figura di politico-non politico che ti parla come un contadino furbo e non capisci mai se ti sta prendendo sul serio ma soprattutto se si sta prendendo sul serio. Bersani, che ebbe un ruolo importante nel fare il vuoto attorno a Veltroni, sognò il partito radicato nel territorio, mise la sordina alla vocazione maggioritaria, si circondò di una nomenklatura che lo tutelò ossessivamente e in parte lo allontanò dal resto del mondo. Lui poi fece come Roberto Baggio nei campionati del mondo di calcio Usa 1994, mandò fuori dalla porta il pallone del rigore decisivo. Bersani pareggiò leelezioni politiche del 2013che nei mesi precedenti sembravano vinte e in undrammatico faccia a faccia con due facinorosi delMovimento 5 stelle, un certoVito Crimie una certaRoberta Lombardi, si fece maltrattare. Su Bersani incombeva un giovane, arrembante fiorentino figlio di una covata di tante galline stagionate daGraziano Del RioaSergio ChiamparinoaEnzo Biancoe soprattutto da organizzazioni come l’Anci. Questa lobby si riunì e giocò la carta del “bad boy”, quello col giubbotto di Fonzie. Renzi perse una volta lePrimarie nel 2012ma fece un discorso di abbandono molto bello. Levinse l’anno successivoe occupòmanu militariil partito con proprie truppe, ma soprattutto aiutando pentimenti indecenti dai diversi schieramenti. Insomma fece del Pd unaPoloniadegli anni delcomunismocon un forte pilastro centrale, i renziani, e tanti partiti dei contadini, fa cui quello diMatteo Orfini, a fare da contorno. Renzi colpì partito e pubblica opinione perché mise nei primi mesi di direzione una energia e tante idee da far immaginare che fosse arrivato finalmente il cambio generazionale. Arrivò invece banalmente la vendetta verso gli ex comunisti, questi resistettero (manco tanto) e lui si inventò che i “gufi” non lo facevano lavorare. Tema che divenne centrale quando defenestrò, con l’aiuto della sinistra interna, quel sant’uomo diEnrico Lettache non si aspettava un congedo così prematuro. Renzi ha governato, poi, dopo la sconfitta referendria, è stato il turno diPaolo Gentiloni. Sono passaggi recenti di cui ciascuno di noi conserva memoria e giudizio. Anche gli elettori che, alla prima occasione,hanno dato al Pd il 18%facendogli capire che si erano stufati del Pd. Ecco Nicola Zingaretti il giorno dopo la sua vittoria deve ripassare il film dei suoi predecessori e deve prendere alcune decisioni riguardanti ciò che non deve fare: non deve, come Veltroni, inventarsi un nuovo partito a vocazione maggioritaria e non deve dimettersi al primo stormir di fronda. Non deve galleggiare come Franceschini. «Non deve dire gatto se non ce l’ha nel sacco», come invece ha fatto Bersani annunciando la ricostituzione di un partito che in pezzi ha trovato e in pezzi ha lasciato. Non deve considerare il partito un proprio territorio di caccia. Renzi promette che non faràscissioniné che danneggerà Zingaretti. Voglio credergli pur venendomi alla mente la favola dello scorpione che chiede il passaggio alla rana promettendole di non ucciderla pungendola e poi rimangiandosi questo impegno con la frase: «È la mia natura». La natura di Renzi è la guerra. Lui è stato vittima di una guerra senza quartiere che però ha provocato. Pensava anche luisi vis pacem para bellum. Ecco: oggi non vale. Se vuoi la pace lavora in pace. Tutto questo per dire a Nicola che nessuno dei suoi predecessori ha alcunché da insegnargli e che neppure nel “partito romano” troverà alimento per guidare il Pd tutto intero. Questo esperimento fallì già con Veltroni. Il popolo che lo ha eletto, pur diviso in tante simpatie contrastanti, indietro non vuole tornare. Ha scelto lui perché ha un sorriso aperto, perché èunitario, perché vince le elezioni, perché viene fuori, senza esserne prigioniero, da una storia. Vuole laricomposizione a sinistrama non le confluenze, coloro che sono usciti torninouti singuli.Perché lui è Zingaretti, quello normale dopo tanti “fenomeni” che hanno, in totale buona fede, quasi ucciso la sinistra.
