INTERVISTARE VERDONE SUL CARBONARA DAY. PER TUTTO IL RESTO C’È MASTERCLASS

Raggiungiamo al telefono Carlo Verdone in Puglia. Sta girando fra le masserie del Salento, alla ricerca dei luoghi in cui ambientare il prossimo film. Fra pochi giorni, al festival del cinema europeo di Lecce, assegnerà il premio “Mario Verdone” al miglior film d’esordio italiano dell’anno. Ma il tempo per parlare di una cosa apparentemente “leggera”, come la pasta alla carbonara, lo trova. E scopri che, anche fra gli aneddoti legati a un piatto di pasta, Verdone riesce a far sentire il sapore del cinema, della gente di Roma. E persino a darci una riflessione sulla vita e sulla morte. Carlo, tutto il mondo ha celebrato uno dei piatti più amati al mondo nel “carbonara day”, con un milione di foto postate su Instagram. Che cosa ci dice tutto questo?“Ci dice che la semplicità vince. Ci dice che la genialità della cucina italiana è stata sempre quella di coniugare cose estremamente semplici creando piatti originali. La carbonara è nata come un piatto d’emergenza, alla fine della guerra, durante l’Occupazione di Roma. Mancava quasi tutto. Si cucinava con il poco che rimaneva reperibile: pasta, formaggio secco, uova, carni conservate come il guanciale o la pancetta. Dalla fame è nato un piatto semplice e grandioso. Per sapore, consistenza, raffinatezza”. Ha ricordi legati a questo piatto, magari sul set di un suo film?“Ho ricordi drammatici, durante le riprese dei film ‘Acqua e sapone’ e ‘Sette chili in sette giorni’, diretto da mio fratello Luca. Perché? Perché nel film c’era Lella Fabrizi, la sora Lella. Attrice meravigliosa, e straordinaria cuoca. Tutta la troupe insorse: si rifiutava di mangiare il cestino preparato dalla produzione, voleva un piatto della sora Lella! E lei accettò. Veniva da casa con le uova, il guanciale e il pecorino per preparare la carbonara; il capo elettricista le comprò un pentolone da campo enorme, e lei si mise a fare carbonare – e amatriciane, dipendeva dai giorni – per tutta la troupe. Risultato tragico: prendemmo tutti quattro chili. E lei, a cui il medico aveva ordinato ‘mi raccomando, niente pasta’ prese più chili di tutti, perché voleva mangiare insieme con noi. Ma alla carbonara di sora Lella nessuno poteva rinunciare, neanche lei”. Dove va, lei, quando vuole una carbonara?“C’è solo un posto perfetto per la pasta a Roma: la trattoria Lilli, in via Tor di Nona. Non si riesce a capire come fanno, ma fanno la carbonara perfetta. Riescono a mantecare tutto nel migliore dei modi, e quando mangi quella pasta sembra di andare in Paradiso. I romani che vogliono mangiare un vero piatto di pasta vanno lì: per il cacio e pepe, l’amatriciana e la carbonara”. Lei cucina?“Sì, cucino bene la gricia, che è una ricetta tradizionale laziale, un po’ l’antenata della carbonara; e anche con la carbonara me la cavo. Ma me la cucino solo una volta al mese: mai a pranzo: mi verrebbe una botta di sonno che mi impedirebbe di lavorare. Una volta ogni tanto, la sera. Ma niente secondo, in quel caso”. La scena più bella legata alla pasta nel cinema italiano qual è, secondo lei?“Per me è nel film ‘L’oro di Napoli’. Nell’episodio in cui Paolo Stoppa, dopo la morte della moglie, si fa preparare un grande piatto di pasta e se lo mangia. Perché è una tradizione di riscatto dal dolore: quando la persona amata se n’è andata, ha smesso di soffrire. C’è in chi resta una strana leggerezza, mista al dolore. Ma il dolore della sofferenza è terminato. Io stesso l’ho fatto, nel dolore immenso, quando è morta mia madre e quando è morto mio padre”.