LIBIA. L’ITALIA SOTTO IL RICATTO DI UNA CATASTROFE UMANITARIA. E’ SOLO UN BLUFF?

LIBIA. L’ITALIA SOTTO IL RICATTO DI UNA CATASTROFE UMANITARIA. E’ SOLO UN BLUFF?

TotoLibia con quotazioni oscillanti. La X (controparti che si siedono ad un tavolo e raggiungono pacificamente un accordo) non se la gioca quasi nessuno, nonostante Conte ci stia puntando grosso, o forse proprio per questo. Più controversa la scelta del vincente. Dapprima non c’era nessuno che separasse Haftar dalla qualifica di “uomo forte” e dunque di grande favorito. Poi, quando l’uomo forte non ha vinto la guerra lampo contro l’”uomo debole” Sarraj, gli scommettitori hanno cominciato a dubitare. Il mancato e subitaneo successo era la conseguenza di un tentativo di cuocere il leader di Tripoli con un assedio a fuoco lento? Si è voluto evitare di conquistare la città ancora in pieno fermento e quindi più difficile da gestire? Si vuole forse pervenire a una mediazione, ma puché sia oltremodo vantaggiosa? Oppure più brutalmente si è trattato di un buco nell’acqua, dovuto alla debole preparazione delle truppe della Cirenaica, chiamate ad affrontare le milizie di un nemico peggio armato ma più determinato e professionale. Anche se a dispetto di un ventaglio di alleanze internazionali decisamente inferiori, Italia compresa. Nella notte bombe su Tripoli con una decina di morti civili e nuova immagine di un Haftar in ascesa. Lui che vuole arrivare fin dentro alla capitale della Tripolitania e si trova comunque nelle vicinanze, mentre Sarraj dice di volere arrivare a una Bengasi, ancora parecchio lontana. Ripercussioni sull’Italia. Che ci piaccia o no le cose sono andate in maniera tale per cui possiamo proclamarci per la pace finché vogliamo ma Sarraj resta il nostro  referente. Affidabile fino a un certo punto. Come direbbe Churchill buonanima, che su questi argomenti prediligeva le metafore “Un figlio di puttana, ma il nostro figlio di puttana”. Fuor di metafora come stanno andando le cose in casa nostra? Parallelo al match libico Haftar/Sarraj assistiamo a un match italico Salvini/Di Maio. Odore di elezioni e il vecchio idillio si logora. Ma è stato Sarraj a suscitare il casus belli. Tutto nasce con un’affermazione del libico che qualche giorno fa segnala al premier Conte che, se le cose vanno male, lui prevede un esodo biblico dalla Libia all’Italia di 7-800mila persone. Ghigna acido Di Maio: non che la cosa lo entusiasmi, ma coglie la possibilità di un risvolto positivo. Visto che l’esodo biblico non lo ferma nemmeno il padreterno, tanto meno Salvini, visto che si tratta di profughi di guerra, finirà che, regole alla mano, ce li dobbiamo beccare. Di qui una figura barbina per un Ministro degli interni che, suo malgrado, dovrebbe aprire le braccia agli africani dopo i proclami celoduristi di ieri. Salvini non ci sta e ci prova con un vecchio slogan mutuato da Adriano Sofri ai tempi delle bombe su Belgrado. Dice Matteo “I porti resteranno chiusi. Non bisogna chiamarla guerra, si tratta solo di scontri”. Sofri in realtà diceva che la Nato bombardava Belgrado e che non bisognava chiamarla guerra ma “operazione di polizia internazionale”. Si chiama eterogenesi dei fini, vale a dire che quando, per qualsivoglia ragione, non vuoi utilizzare il termine guerra, qualsiasi volo pindarico va bene. Fatto sta che, tornando al presente, tra i nostri due vice la polemica avvampa. Forse per questo nessuno dei due si accorge che la frescaccia principale ce l’ha raccontata Sarraj, forse contando sul fatto che, dalle parti del nostro governo, quando si tratta di fare qualche conticino tornano tutti bambini. Facciamoli allora noi i conti. Da dove salterebbero fuori queste 800mila persone. Numeri alla mano gli sfollati in Libia sarebbero meno di 20mila. Quelli nei centri, con un progetto di prossima partenza, intorno ai 5mila. Altri fattori che possono spingere alla fuga, con una guerra in atto, ce ne sono di sicuro, ma vanno soppesati con prudenza. Intanto in caso di guerra diminuirebbero i migranti forzati provenienti in Libia dal Sahel, perché di attraversare a slalom i kilometri dal deserto alla costa col rischio di trovarsi impallinati non lo desidererebbero in molti. Poi le agenzie umanitarie segnalano allarmate che molti profughi in attesa di partire vengono forzosamente reclutati da milizie armate. Poi ancora, con una guerra in corso, non è che la fuga via mare, operazioni di imbarco comprese, si presenti più facile del solito. Non a caso si segnalano operazioni di rafforzamento dei confini dalle parti della Tunisia. A dimostrazione che, come già avvenne nel 2011, sarebbe la via di terra quella che i profugi potrebbero privilegiare. Insomma, il numero di 8, ma anche di 7 o 600mila, pare costituire, almeno nel breve periodo, una balla stellare, cui solo le competenze in aritmetica dei nostri governanti possono dare credito. Più allarmante invece l’altro pericolo per l’Italia, segnalato da Sarraj più che altro come una minaccia cui lui medesimo potrebbe dare seguito. 4/500 militanti dell’Isis sono nelle carceri di Tripoli. Vuoi vedere che, nella confusione degli eventi bellici, sotto le bombe o magari con Haftar che entra in città, quelli se la svignano e puntano diretti verso la Sicilia. Questa la profezia di Sarraj che tradotta in parole povere per i duri di orecchio significa “Se l’Italia non mi aiuta e mi trovo costretto a convincerla, io apro le chiavi delle carceri e imbarco l’Isis su barconi nella direzione italica”. Dopo di che sarebbero cavoli nostri. Nel frattempo le bombe cadono, i morti crescono e anche nel nostro governo tira una brutta aria. Feltri suggerisce a Salvini di uscire dal governo per mantenere intatta un’immagine dura, pura e vincente. Se in Libia si rischia di perdere la vita qui si rischia soltanto di perdere la poltrona. Una situazione relativamente migliore.