QUANDO MARINO SFIDO’ I POTERI FORTI VENNE ISOLATO
Tra le mani plaudenti per l’assoluzione di Ignazio Marino, ci sono tanti che capirono allora, altri che hanno capito solo ora, ma in queste ore mostrano il ciglio umido anche tanti ipocriti. La vera storia di quella sindacatura è ancora da scrivere, ma è la storia di un sindaco che, talora in modo maldestro, ha provato a cambiare alcune abitudini nel sistema di potere cittadino, per provare a migliorare i servizi comunali, che comunque in quegli anni si sono mantenuti su uno standard accettabile. Tre storie esemplari. La prima: la guerra senza quartiere che i sindacati sferrarono a Marino, colpevole di avere razionalizzato alcuni privilegi accumulati dai dipendenti capitolini per la generosità delle precedenti amministrazioni. Privilegi come il “salario accessorio”, una regalia concessa a fronte di «prestazioni» paradossali come l’«indennità di effettiva presenza», il «turno serale (per i vigili) a partire dalle ore 16», «indennità per manutenzione divisa», o «indennità per servizio esterno». La proposta del sindaco di corrispondere il salario accessorio soltanto a fronte di prestazioni effettive fu travolta da una marcia sotto il Campidoglio indetta da tutti i sindacati.Conformisti, come sempre, anche i giornalisti: anziché raccontare il corpo a corpo di questo strano sindaco con i poteri forti, lo hanno isolato. Come nella incredibile vicenda del funerale-show dei Casamonica. Si accertò subito che le eventuali responsabilità per la violazione dello spazio aereo stavano al Viminale, in Questura, in Prefettura e comunque in casi come questi è inevitabile che scatti la responsabilità oggettiva: non fu certo Vito Lattanzio a favorire Herbert Kappler, ma dopo la fuga dal Celio dell’ex ufficiale delle Ss, il ministro della Difesa fu costretto a dimettersi. E invece dopo il can-can, i media anziché richiamare la filiera-Viminale, fanno scattare l’ennesima caccia al sindaco: dov’è Marino? E danno spazio al prefetto di Roma, che alterna ironia («Ho sentito Marino fra un’immersione e l’altra…») e avvisi: «Potrei sciogliere il Comune». Terza storia esemplare. Il presidente del Consiglio Renzi, ingolosito da un possibile ruolo protagonista nel Giubileo, isola Marino, non gli risponde al telefono e con atteggiamento inusuale per un capo di governo prima lo minaccia («Se fossi Marino, non starei tranquillo», «se sa farlo, governi Roma, sennò a casa») e poi dà via libera alla destituzione con la raccolta firme davanti al notaio. In quelle ore non è dato ricordare una sola voce dissonante nel Pd: né da parte dei capi della minoranza, che poi costituirono Mdp ma neanche dal presidente della Regione, Nicola Zingaretti. Riflettendo sull’accaduto si può fare anche autocritica, vera e non autoassolutoria: una storia italiana come questa meriterebbe molte di queste autocritiche.
