SEMPRE CONTRO L’ALTRA METÀ DEL CIELO

SEMPRE CONTRO L’ALTRA METÀ DEL CIELO

E si riparte da Verona: di nuovo in piazza. Perché di nuovo – in Commissione giustizia al Senato – da martedì c’è il “ddl Pillon”. Non è andato in aula, sull’onda della grande manifestazione del 30 marzo, ma non è stato ritirato: le promesse dei 5Stelle (“è stato archiviato”, aveva subito detto il sottosegretario Spadafora) si sono scontrate con un “patto di governo” che odia le donne. Ora la maggioranza si predispone a costruire un “nuovo testo” in cui confluiscono tutti i disegni di legge su separazione, divorzio e affido. Eppure alle audizioni tutti coloro che si occupano di bambini, di violenza contro le donne, di diritto di famiglia (a partire da giudici e authority) avevano considerato pericolose quelle norme: un testo “inemendabile”, da cestinare. Domani, martedì 9 febbraio, in un presidio davanti a Montecitorio, ci saranno di nuovo i centri antiviolenza D.i.Re, la Casa internazionale delle donne, Cgil, Arci, Rebel Network, Udi e tutte le associazioni di donne (e di uomini) decise a contrastare la deriva fondamentalista contro le donne. “La Cgil – ha ribadito Susanna Camusso, responsabile per le politiche di genere della Cgil – sostiene, insieme a molte associazioni, il ritiro di quei progetti di legge e l’azzeramento e la ripresa della discussione su basi del tutto diverse. Le semplici promesse non ci bastano, per questo abbiamo convocato il presidio del 9 aprile, per dare il segno giusto all’avvio dei lavori della Commissione”. Ma dalla grande manifestazione di Verona (è passato poco più di una settimana!), molto è accaduto: il governo e la maggioranza hanno esibito una rappresentazione mediatica di attenzione alle donne, con l’approvazione alla Camera del “Codice Rosso” (in cui si ribadiscono norme che c’erano già e si crea parecchia confusione nelle aule dei tribunali), mentre entravano sulla Gazzetta Ufficiale “novità” come l’abrogazione della legge a tutela dei minori sulla genitorialità (sui documenti sono rispuntati “padre” e “madre”, cancellata la dizione “genitore”) e spariva (finanziaria 2019) il bonus asilo nido per le neo-mamme. Eccolo, il governo del cambiamento: quello che vuole le donne a casa ad accudire i figli, che vuole la “famiglia tradizionale”. Si scopre da una notarella dell’Inps che è stato messo uno stop alla facoltà delle mamme di “scambiare” la maternità facoltativa con un bonus da 600 euro mensili (per un massimo di sei mesi, quindi 3.600 euro) per pagare rette e bambinaie. Era la possibilità di tornare al lavoro, con qualche preoccupazione in meno. Non c’è più. (E lasciamo perdere le smentite di Di Maio, che confonde un provvedimento con l’altro: “fino a esaurimento scorte” il bonus nido, infatti, c’è sempre ed è aumentato, preoccupante però che un vicepremier prenda queste papere). Eccolo, il governo dell’odio, altro che possibilità di scelta del cognome: ora i bambini delle famiglie arcobaleno avranno una discriminazione nero su bianco sulla carta di identità, obbligati per legge a un “padre” e a una “madre”. “Pur trattandosi di una controriforma più volte annunciata – ha scritto in una nota Cgil-Nuovi diritti -, si sperava fino all’ultimo che si trattasse almeno soltanto dell’ennesima sparata propagandistica nel quale l’attuale governo è specializzato. Dobbiamo invece prendere atto che si è deciso di percorrere fino in fondo la strada dell’esclusione e della discriminazione più odiose”. E noi, che pensavamo finita per sempre quell’onta dei “figli di N.N.”… E ancora, il “Codice rosso”: a parole un provvedimento condivisibile (una via giudiziaria prioritaria per le donne che hanno subito violenza – anche se la norma c’era già), nei fatti, purtroppo, soprattutto una operazione di propaganda. Addirittura con norme che rischiano di “rivittimizzare” le donne, costrette a ripetere e ripercorrere inutilmente più volte i momenti dell’abuso (come aveva sostenuto, durante l’audizione, la procuratrice Maria Monteleone, coordinatrice del pool-antiviolenze). Per questo lo scorso 3 aprile Pd e Leu si sono astenuti alla votazione finale della legge. Non fosse per alcuni emendamenti voluti dalle minoranze, che sono senz’altro un passo avanti (la norma sul “revenge porn”, la vendetta degli ex che diffondono immagini hard; la norma sui matrimoni forzati, che finora erano considerati solo maltrattamenti ed ora sono reato), la nuova legge è a risorse zero, non dice nulla sulla prevenzione, non si preoccupa di impedire le recidive (come hanno sostenuto in audizione, tra gli altri, Telefono Rosa e Di.Re). Soprattutto non cambia l’“impronta” di un governo che, non passa giorno, attacca i diritti delle donne.