TERENCE HILL. UN ALIENO DI 80 ANNI. IN TONACA O CON LA PISTOLA

Da poco ha varcato il traguardo degli ottanta, il 29 marzo precisamente, e sembra proprio uno di quelli che – tanto per utilizzare un gergo giovanile – “Ottanta e non sentirli” gli si cuce addosso. All’anagrafe Mario Girotti, il mondo lo conosce come Terence Hill. Le origini Italo – Tedesche si possono notare a primo impatto. Occhi azzurro, sguardo affascinante e un po’ tenebroso. Una postura impostata, ma non troppo, gli dona il fascino da divo, anche se divo non è. Anzi è caratterialmente l’antidivo per eccellenza. In un mondo in cui l’apparire prevarica sull’essere, Terence Hill, nascosto dai riflettori, agisce discretamente. Ne ha fatte tante nel corso della sua carriera, un elenco quasi interminabile che spazia dalle scazzottate nel Far West, alla religiosità parrocchiale di Don Matteo. L’inizio della professione, come tutto ciò che poi col tempo si rivela un grande cosa, è del tutto casuale. Non ad un provino, non in un teatro, bensì ad una gara di nuoto. Il regista Dino Risi nota l’allora – e ancora per poco – Mario Girotti e lo scrittura per una piccola parte nel film “Vacanze col gangster”. I ruoli diventano sempre più numerosi, e dopo il conseguimento della laurea in lettere classiche, si dedica completamente al cinema. Come già specificato è sempre stata una persona riservata, si limiti della timidezza, tanto che comincerà a frequentare l’Actors Studio per sconfiggerla. Nella vita arriva un momento in cui capisci se quello che stai facendo ti piace o meno, qualcuno lo chiama punto di svolta, altri semplice consapevolezza. Quello di Mario Girotti avviene nel 1963. Luchino Visconti lo nota e lo scrittura per il film “Il gattopardo”. “Un incontro, quello con Visconti – dichiarerà poi in seguito – che mi ha fatto decidere di intraprendere definitivamente la carriera di attore. Fino ad allora non sapevo chiaramente quale fosse la mia strada. In quella pellicola partecipai all’intera realizzazione del film, a partire dai costumi fino ad arrivare alla trama. Un’esperienza che mi ha cambiato la vita”. Come tutti gli spartiacque da quel momento in poi l’adolescente Mario Girotti scomparve per lasciare il posto all’adulto che latente in lui non aspettava altro che uscire fuori. Tra le varie esperienze possiamo contare un periodo felice – così lo descrive – in Germania, nel quale si avvicina ai ruoli nei film western. Dodici film, realizzati dai tedeschi e ispirati ai romanzi avventurosi di Karl May, che gli servirono forse da gavetta perché poi tornato in Italia nel 1967 sul set di “Dio perdona.. io no” non solo conobbe la futura moglie Lori Zwicklbauer, ma anche il suo prossimo compagno di scena. Forse uno dei più rilevanti e significativi: Claudio Pedersoli, meglio noto come Bud Spencer.Ecco che l’aneddoto è svelato. Mario e Claudio non avrebbero potuto fare colpo a livello internazionale con i loro nomi. Non per i ruoli a cui ambivano. Serviva l’effetto. Serviva il colpo di scena. Qualcosa che potesse essere capito in tutto il mondo. Mario scelse Terence Hill perlopiù perché suonava bene e portava le iniziali del nome della madre, Hildegard Thieme. L’amico e collega decise il suo in omaggio all’attore Spencer Tracy, giocando un po’ sul nome della birra Budweiser, in Italia conosciuta come Bud. Sembra che per Terence Hill la vita sia stata composta da innumerevoli Sliding Doors. Come quella volta che per il ruolo nella pellicola di “Lo chiamavano trinità” non venne scelto lui inizialmente, bensì Franco Nero, il quale però a causa di altri impegni lavorativi non poté garantire la presenza nel film. Nasce così il duo Terence Hill e Bud Spencer. Insieme contano diciotto pellicole, sedici delle quali li hanno visti come protagonisti in coppia.Tempo dopo, negli anni Ottanta, Terence passa dietro la macchina da presa, e dirige sé stesso nel film “Don Camillo”. Ecco che negli anni Novanta, poi, vede la luce l’ultimo film della coppia Spencer – Hill con “Botte di natale” diretto da quest’ultimo e sceneggiato da suo figlio, Jess.Via la pistola e su la tunica, potremmo dire. Dal duemila rilancia totalmente la sua carriera con la fortunata serie televisiva Don Matteo che per undici stagioni ha tenuto incollati allo schermo i telespettatori. Tra film, premi, onorificenze ha sempre mantenuto un certo distacco da tutto ciò che è la vita mondana. Lavora per mera passione, sicuramente non per il successo. I riflettori non gli piacciono e se può li evita. Molto geloso della sua privacy, come giusto che sia, sembra proprio che sia rimasto quell’uomo d’altri tempi che ai giorni nostri sta sempre più scomparendo.