UN ANNO FA L’ARRESTO DI LULA E LA FINE DEL SOGNO BRASILIANO
È trascorso un anno dall’arresto di Luiz Inacio Lula da Silva.Un anno durante il quale il grande padre del Brasile moderno, quell’uomo che nel corso della sua presidenza era riuscito a far veder realizzata le speranza per milioni di persone altrimenti senza destino, è stato sottoposto ad un regime di carcere duro.Quel giorno di dodici mesi fa, Lula aveva deciso di consegnarsi alla polizia federale di San Paolo del Brasile per scontare la pena inflittagli per corruzione.Quella mattina aveva lasciato la sede sindacato dei metalmeccanici, dove ormai si era barricato da settimane ed aveva attraversato le due ali della sua gente che nel frattempo si era radunata per impedire l’arresto.Aveva deciso, come suo ultimo atto da uomo libero, di partecipare alla cerimonia religiosa presieduta dal vescovo monsignor Angelico Sandalo Bernardini, della Diocesi di Blumenau, nel sud del Brasile, una funzione che voleva essere anche occasione di ricordo per la moglie scomparsa l’anno prima.Ed il prelato, durante la funzione religiosa, aveva incoraggiato l’ex-presidente del Brasile e la folla dei presenti:“Qui c’è un cittadino che era già stato imprigionato in passato”, aveva detto dal pulpito monsignor Angelico, già presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, “imprigionato senza che nessuna prigione potesse detenere il suo cuore, la sua mente e i suoi ideali. Continua a dedicare la tua vita alla causa della pace, che è frutto della solidarietà, dell’amore, della misericordia e della giustizia. Che Gesù ti protegga, fratello e compagno”.Prima di consegnarsi, anche Lula aveva preso la parola: “Io non mi nascondo, non ho paura di loro», aveva detto.Era giunto così alla conclusione quel golpe strisciante iniziato nel 2016 con la destituzione della presidente Dilma Rousseff e con l’arresto di Lula che di fatto impediva alle forze progressiste la partecipazione alle elezioni presidenziali che si sarebbero svolte da lì a poco.L’accusa per lui era di corruzione e cioè del presunto occultamento della proprietà di un appartamento definito di lusso a Guarujà intestato all’impresa di costruzioni Oas, di cui Lula avrebbe usufruito.È trascorso un anno Lula appare minato negli affetti che in questi mesi gli sono venuti a mancare, sono morti di recente suo fratello colpito da un cancro ed improvvisamente il nipotino ucciso a sette anni da una meningite fulminante.Colpi duri che assicurano quanti sono riusciti ad incontrarlo non ne hanno calato la carica e la passione politicaColpi duri, durissimi per un uomo che aveva consentito a milioni di brasiliani di uscire dalla miseria più assoluta ma che non gli impediscono, ancora oggi, di coltivare la speranza verso una verità artificiosamente costruita dalle forze oscure del Paese.Ben diverse da altre verità che proprio in queste ore vedono minacciosamente concretizzarsi delle indagini nei confronti dei nuovi potenti.L’ex presidente brasiliano, Michel Temer, 78 anni colui che era stato uno dei maggiori artefici delle manovre contro Lula, è stato arrestato a San Paolo.Su di lui pendono accuse molto pesanti. Le indagini riguardano le commesse di ampliamento di una centrale nucleare, ma un documento della procura federale parla di Temer come «capo di una organizzazione criminale che opera da 40 anni», una sorta di sistema di mazzette a vita, che finanziano le campagne elettorali e lo stile di vita di un gruppo di potenti del Pmdb, uno dei grandi partiti del Brasile, al quale l’ex presidente è iscritto.Fatti che fanno valere ancora di più quanto ebbe a dichiarare lo scorso anno il grande amico italiano di Lula, Antonio Vermigli che nel corso di una intervista a Famiglia Cristiana ebbe a riassumere il quadro complesso di un Paese che poteva avere il progetto di risollevarsi dalle povertá assolute: “ Durante il governo di Lula per la prima volta in Brasile, la povera gente ha potuto avere dei diritti assicurati, ci sono stati molti investimenti nelle piccole aziende, nel lavoro dei piccoli agricoltori, la gente ha assaggiato per la prima volta una certa condivisione di un certo benessere e molte persone hanno potuto permettersi di viaggiare, cosa che prima era un diritto assoluto dei benestanti. Il Paese cresceva e c’era una distribuzione de reddito più equa che sicuramente dava enorme fastidio alla classe dominante che ha sempre potuto usufruire di ogni privilegio a discapito della maggioranza delle persone brasiliane che non potevano permettersi niente. Il grande rilancio dell’economia brasiliana ha avuto come base proprio questa riduzione del divario tra poveri e ricchi. Le persone potevano permettersi di acquistare beni di consumo, elettrodomestici, e fu proprio questa situazione di migliori condizioni di vita che ha favorito la crescita enorme del Paese in quel periodo. Il famoso Brics, unione del mercato composto dal Brasile, Russia, India, Cina e Sud África minacciava sicuramente il mercato occiedentale degli Stati Uniti e i loro interessi economici. L’attuale governo Temer ha cancellato l’80% del progetti sociali, ha privatizzato tutto quello che ha potuto fino ad ora privatizzare, in primi il famoso pré-sal, uno dei più grandi giacimenti di petrolio e gas naturale sul l’Oceano Atlantico, vicino alle coste brasiliane, (25 milla barili di petrolio al giorno)”.E concludendo: “Forse c’è un filo rosso che collega l’assassinio di Marielle Franco, l’attivista politica e sociale del Brasile, nonché consigliere comunale a Rio di Janeiro e il mandato di reclusione di Lula”, conclude Vermigli, “il razzismo e il classismo fortemente presenti nella società brasiliana determinano una forte discriminazione sociale nel tentativo di assicurare il mantenimento dei privilegi della casta socio economica più elevata e delle oluigarchie politico-finanziarie. Perché in realtà il Brasile, più che razzista, è ancor di più un Paese classista”.Una condanna che suona come monito ed al tempo stesso come strada da percorrere per riuscire a comprendere ed agire.Una speranza che ci impone come democratici il veder presto riconosciuta la libertà per Lula e per il Brasile
