LA DENUNCIA DI AMNESTY: IN VENEZUELA SI MUORE DI FAME E DI MALATTIA

LA DENUNCIA DI AMNESTY: IN VENEZUELA SI MUORE DI FAME E DI MALATTIA

Nel reportage che il New York Post ha realizzato nella città colombiana di Cúcuta, 650.000 abitanti al confine con il Venezuela, Grecia Sabala, 32 anni, malata di tumore al cervello che dal Venezuela è fuggita racconta: «Nel mio Paese non ci sono più farmaci per la chemioterapia e l’unica macchina per la radioterapia è rotta e nessuno la ripara. Ho detto a me stessa: qui non posso curarmi, me ne vado perché non voglio morire». La situazione in Venezuela è drammatica. I negozi di alimentari sono vuoti. Gli ospedali chiudono. Non ci sono medicine. Almeno metà dei medici si è trasferita all’estero. La crisi è ormai lunga anni. C’è una copertina del settimanale statunitense Time che recita: “Venezuela is dying”, il Venezuela sta morendo. Potrebbe essere il numero di questa settimana, invece è un giornale del 22 agosto 2016. Da allora la situazione nel Paese è andata sempre peggiorando. Al punto da spingere Amnesty International a denunciare che la mancanza di medicine e di cibo sta mettendo a rischio la vita dei venezuelani e alimenta la fuga delle persone dal Paese. «I servizi sanitari di base sono al collasso e trovare farmaci essenziali è una lotta costante: a migliaia di uomini e donne non resta che cercare cure mediche all’estero» spiega Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe. I numeri della crisi sono impressionanti. L’inflazione del Bolivar, la moneta nazionale, è arrivata al 3.000 per cento. Secondo una ricerca svolta dalle principali università del Paese, la povertà estrema, quella di chi non ha neppure da mangiare, è salita al 61,2 per cento (anche se il governo la stima al 4,4 per cento). Caritas Venezuela denuncia che almeno 300 mila bambini rischiano di morire di fame. E con loro adulti e anziani che, sempre più numerosi, ogni giorno escono all’alba per mettersi in fila davanti a negozi vuoti, con la speranza di trovare qualcosa da acquistare per la propria famiglia. O rovistano tra i rifiuti in cerca di che sfamarsi. Dice Amnesty, che cita le organizzazioni locali per i diritti umani, che in Venezuela la metà degli ospedali non è più operativa e il personale medico impiegato nei presidi sanitari pubblici, che forniscono il 90 per cento delle prestazioni, se ne è andato. Tra chi lascia il Paese, moltissime donne incinte o che hanno appena dato alla luce i loro bambini. Il New York Post racconta la storia di una giovane mamma, Michel Briceno. Ha partorito in ospedale ma la ferita del taglio cesareo si è infettata. Non ha ricevuto alcuna cura, nessun antibiotico. Michel sapeva che altre madri con lo stesso problema erano morte a causa delle infezioni. Con il marito, un bimbo di pochi anni e la neonata, è salita su un bus e per 12 ore ha sopportato dolori indicibili fino all’arrivo in Colombia, dove è stata ricoverata e curata. «Se fossi rimasta in Venezuela» racconta «sarei morta». Dal 2015 al 2016, gli ultimi due anni su cui sono stati diffusi dati ufficiali, la mortalità materna è cresciuta di oltre il 65 per certo, quella infantile di oltre il 30 per cento.«Il governo venezuelano non può continuare a ignorare questa situazione disperata. Se lo farà, condannerà la regione a subire una delle peggiori crisi dei rifugiati mai viste» denuncia Erika Guevara-Rosas. La situazione è al collasso, ma se ne parla pochissimo. Per questo Amnesty ha deciso di pubblicare la piattaforma digitale“Uscita d’emergenza”che raccoglie anche le storie di venezuelani che hanno chiesto protezione ad altri Paesi della regione. A partire dalla Colombia che ne ha accolti più di mezzo milione solo nel 2017. Fino a poco tempo fa la Colombia concedeva visti temporanei alle migliaia di persone che attraversavano il confine ogni giorno per acquistare cibo o medicinali. Da tempo, però, chi esce dal Venezuela non torna indietro. Così la Colombia ha sospeso i visti e i venezuelani hanno iniziato ad attraversare illegalmente il confine tra i due Paesi. Anche Brasile, Panama e Perù hanno reso più difficili gli ingressi. Negli ultimi due anni più di un milione di persone ha cercato rifugio all’estero. Una crisi umanitaria dalle dimensioni simili a quella dei profughi siriani. Sulla piattaforma “Uscita d’emergenza” di Amnesty International si trovano tante storie di fuga. Come quella di José del Carmen, 26 anni (nella foto qui sotto). Originario dello Zulia, uno dei 23 stati del Venezuela, Josè si è ammalato ed è finito su una sedia a rotelle ma questo non gli ha impedito di attraversare il confine insieme alla giovane moglie 18enne e alle due figlie di 2 anni e 9 mesi. A La Guajira ha dovuto pagare 3.000 bolivares agli uomini armati che controllano le rotte irregolari. Una donna incinta che viaggiava sul suo stesso camion è stata picchiata con il calcio di un fucile perché non aveva abbastanza denaro per il pedaggio. Josè e la sua famiglia sono fuggiti dal Venezuela per fame. In Colombia, a Maicao, dove la famiglia ha trovato rifugio alla Caritas Pastorale, i medici gli hanno detto che, con le cure, potrà di nuovo camminare. Chi resta nel Paese cerca di sopravvivere. Esteban Rojas, giornalista dell’agenzia France Presse, ha pubblicato un reportage dal Venezuela che racconta quanto accade sul fiume Guaire, dove si scaricano le fogne di Caracas e dove ogni giorno decine di giovani “minatori”, come si chiamano tra di loro, si immergono in cerca di qualcosa da rivendere. Può bastare un pezzo di filo di rame per alleviare la fame. Dopo la riforma costituzionale dello scorso anno con la quale il presidente Nicolás Maduro ha creato l’Assemblea Costituente che ha di fatto sostituito il Parlamento nelle sue funzioni, nel Paese stanno aumentando ogni giorno di più tensioni e criminalità. Le violenze fra opposizione e forze governative alimentano una crisi che sembra irreversibile. Nel 2017 si sono registrati 30 mila omicidi, di cui 6 mila solo a Caracas che nel 2017 è stata confermata come città più pericolosa del mondo. Alla violenza si aggiungono i sequestri di persona (per riscatto): 400 denunce all’anno, con 16 mila casi totali secondo stime non ufficiali, per la maggior parte non denunciate per diffidenza verso le forze dell’ordine. Il Venezuela andrà alle urne il prossimo 22 maggio. La rielezione di Nicolás Maduro è data per scontata. Nella foto in alto venezuelani che entrano in Colombia attraverso il ponte di confine “Simon Bolivar” a Cúcuta. La foto è stata scattata per la piattaforma “Uscita di emergenza”. Credit Amnesty International/Sergio Ortiz.