A DUE PASSI DAL MAUSOLEO DI TAMERLANO
Una nera mora di gelso ha battezzato stamane i miei settanta anni a due passi dal mausoleo di Tamerlano cadendo sulla mia camicia beige. La polpa succosa ha stampato sulla tela una chiazza psichedelica violetta, sotto il cuore. Il tentativo di lavaggio al volo con bottiglia di acqua minerale ha espanso il danno in un alone creativo e cangiante, presto fissato in modo idelebile dal sole. E forse anche questo ha eccitato le richieste, sempre femminili, di diventare oggetto di foto in compagnia, loro e un esotico turista strampalato. Con la patacca viola sul petto mi sono allora reso schivo cercando di guadagnare i banchi del mercato popolare per comprare una maglietta. E nel farlo ho deragliato dal percorso del grande struscio fotoaggressivo, inoltrandomi nei vicoli della città vecchia. Beh, è stato un incanto. Piccole moschee di mattoni crudi e legno, sghembi minareti con mezzelune di latta in cima, piazzette, fontanelle e fontane in cui si tuffavano ragazzini in mutande. Eccola lì la città “brutta”, la città da non far vedere, il ghetto. Ed io stesso ho provato il senso di appartenere a una Pompei sepolta, varcando poi più volte i muri divisori fra il mondo del turismo dollaroso e quello morente di una Samarkanda popolare. È incredibile il cinismo con cui qualcuno, l’ex presidente-dittatore Karimov e sua figlia, un giorno decise che una intera città dovesse diventare un prodotto di mercato, sul tavolo del grande business del turismo di massa, esaltandone la parte monumentale e sterilizzando il resto. Fatto sta che, a dispetto dei negozi di pezze e souvenir che affollano persino gli spazi cimiteriali, gli unici acquisti a Samarkanda li abbiamo fatti nella bottega magica di un dolce attempato negoziante della città vecchia, l’unico che assieme agli oggetti ci ha regalato momenti di commozione e di magia.
