NIGER SUMMIT DELL’UNIONE AFRICANA SUL LIBERO SCAMBIO E MINISUMMIT ALTERNATIVO

NIGER SUMMIT DELL’UNIONE AFRICANA SUL LIBERO SCAMBIO E MINISUMMIT ALTERNATIVO

Summit dell’Unione Africana (UA) il 7 luglio a Niamey, Niger. Prime riflessioni in un panorama con ancora molti interrogativi. All’accordo di febbraio in Ruanda, sottoscritto da 44 paesi che dava il via alla zona, si aggiungono dunque due nuovi passaggi. I firmatari sono diventati 54 su 55 paesi e coloro che hanno già ratificato il tutto sono 22, vale a dire che coprono 1 miliardo e 200mila abitanti del continente africano. Come sempre accade in questi casi il diavolo potrebbe nascondersi nei dettagli; più precisamente andrebbe visto chi ci guadagna e chi ci rimette o comunque teme che i danni superino i benefici. Non basta infatti sottolineare che, sulla carta, gli scambi economici in atto tra le nazioni africane rappresentano meno di 1/5 del totale e che quindi l’operazione pare effettivamente in grado di ridurre la dipendenza dei paesi dagli scambi internazionali col “nord” del mondo. Una prima stima porterebbe tale percentuale poco al di sotto del 30%, ben lontano dall’interscambio tra i paesi europei e quello tra gli asiatici (entrambi ben oltre il 50%). In termini quantitativi comunque un risultato importante. A cancellare il dubbio che tale operazione possa essere magari by passata con qualche escamotage dai paesi più ricchi sarebbe allora ancora più interessante verificare come e quando verrà effettivamente attuata l’adozione concreta di un altro provvedimento, volto ad introdurre una tassa dello 0,2% su determinate importazioni, al fine di potenziare l’autonomia economica della UA. Resta peraltro il nodo politico. Ha finalmente aderito, dopo molti tentennamenti il gigante nigeriano, che pareva temere che una accentuata concorrenza dei vicini indebolisse la crescita del suo Pil, peraltro accompagnato da pesanti diseguaglianze. Ma alla soddisfazione per l’adesione si accompagna il timore di qualche paese minore che teme che la dipendenza dai paesi sviluppati possa essere sostituita da quella dei big africani presenti adesso nell’accordo (Nigeria, Sudafrica ed Egitto).. In linea di principio il problema non dovrebbe sussistere: uno degli obiettivi dichiarati è quello di sottrarre i paesi più deboli ai meccanismi dello scambio ineguale, che condannano agli andamenti dei mercati e del clima la produzione di materie prime cui tali paesi si dedicano in esclusiva. Per molti anni la cooperazione sud/sud era stata vista come una possibile soluzione al problema. Lo sarà in questo caso, una volta messa alla prova dei fatti? Inoltre, sarà così possibile rompere l’isolamento dell’ultimo paese assente. Un paese alla fame come l’Eritrea, sempre al vertice nel numero di migranti che cercano protezione in Italia; ancora dentro ai meccanismi della guerra, sia pure fredda, con l’Etiopia, oltre che leader nella violazione dei diritti umani,? Oppure il suo ruolo di “Corea del Nord africana”, lo spingerà a trovare partnership non raccomandabili di altro genere, come pare stia già facendo coi sauditi? D’altronde, anche tra chi ha sottoscritto l’accordo, è pensabile che i così detti “dolci costumi” del commercio internazionale siano in grado di sopire il fragore delle armi (come nella Repubblica Centroafricana e nel Congo medesimo)? O non avverrà piuttosto che il libero mercato possa innescare una aspra competizione non violenta destinata però sul lungo periodo a ripercussioni di ordine militare, magari sobillate da qualche ex colonizzatore dell’occidente già presente su molti territori in assetto armato e con ripetute ingerenze. L’istituzione di un Fondo africano per la pace lascerebbe bene sperare, sia per le sue finalità dichiarate che, più ancora, per il suo possibile sganciamento dai finanziamenti esterni e conseguente indebitamento (paesi ex colonizzatori, ma anche la Cina). Tutti interrogativi che l’accordo nella UA lascia aperti. Con un briciolo di ottimismo si potrebbe pensare che l’accordo possa comunque servire a smuovere le acque di una situazione paludosa. Ma incombe sulla previsione degli ottimisti il giudizio tagliente che della UA fornisce Domenico Quirico. Il giornalista de La Stampa, già sequestrato dall’Isis e conoscitore della zona, che dell’Unione e della sua gestione dice peste e corna, sottolinea la diffusione al suo interno di macroscopici fenomeni di corruzione e la ritiene subordinata, nelle sue scelte operative, a interessi che poco hanno a che fare con quelli delle genti che dovrebbe tutelare. Va in tal senso da segnalare la realizzazione di un minisummit alternativo di quasi 250 associazioni locali per lo sviluppo (note anche come Ong del sud). Una risorsa normalmente ignorata dai media occidentale che se ne occupano solo a singhiozzo e approssimativamente. Certo, mentre i rapporti con la Ue si vanno sempre più spostando sui temi della sicurezza e delle migrazioni, saperne qualcosa di più non sarebbe male, visto che coprono un’area che va dai sindacati ai movimenti ambientalisti e per i diritti sociali. La loro presenza desta comunque interesse. Il loro motto è “Tournons la page”, che andrebbe tradotto correttamente con “Voltiamo pagina”. Buona fortuna Africa, ne va di noi tutti. E’ effettivamente il momento di cambiare. Sperabilmente in meglio.