MARIO DRAGHI: LE RICETTE ECONOMICHE DEL DOTTOR OVVIO.

MARIO DRAGHI: LE RICETTE ECONOMICHE DEL DOTTOR OVVIO.

Malgrado la recessione che sta demolendo il paese, è il periodo d’ oro della finanza italiana. Un periodo talmente aureo che l’Italia presiede, nella persona del Dott. Prof. Mario Draghi, la Banca Centrale Europea, l’ istituto di credito centrale che stampa l’ euro. Cioè la moneta unica per i paesi aderenti e che è chiamata a valutare e gestire le operazioni economiche dei paesi utilizzatori al fine di evitare sperequazioni economiche e di conseguenza svalutazione dell’ euro sui mercati internazionali. Mario Draghi, una grandissima persona, un luminare per l’ economia italiana: dal 1984 al 1990 è stato direttore esecutivo della Banca Mondiale, l’ ente delle Nazioni Unite demandato a finanziare le attività di sviluppo nei paesi più poveri e a supportare gli stati in difficoltà. Un passato di membro dei consigli di amministrazione nelle grandi imprese del salotto buono della finanza italiana   (IRI, BNL, Eni e IMI) che lo fa assurgere alla carica di vicepresidente della banca d’ affari Goldman Sachs nel 2002, banca tristemente nota per le attività di finanza speculativa che a fronte di suoi cospicui guadagni, spesso ha creato gravi dissesti nelle economie deboli del globo. Vicepresidente della Goldman Sachs e quindi collega dell’ ex premier Mario Monti, anche lui con incarichi dirigenziali in un istituto di credito che nel 2010 è riuscito anche ad essere incriminato per frode a seguito di una indagine della SEC (l’ ente statunitense preposto al controllo delle società quotate in borsa) relativa a speculazioni finanziarie ad alto reddito per Goldman Sachs ma con un tasso di rischio troppo elevato per gli investitori, fatto che costituisce per l’ ordinamento giudiziario americano reato di truffa finanziaria. Autore di pregiate leggi quale la legge 58 del 1998 nella quale viene normata l’ O.P.A., l’ offerta pubblica di acquisto ovvero il meccanismo con cui vengono operati gli acquisti delle imprese quotate in borsa quali ad esempio le grandi fusioni tra le banche italiane e l’ acquisto di Telecom Italia da parte di Marco Tronchetti Provera ed altri investitori nazionali. Nonché consulente legale e finanziario del Ministro del Tesoro e regista nelle grandi operazioni di privatizzazione delle grandi imprese pubbliche (Enel, Eni, Telecom) nel corso degli anni novanta Mario Draghi, un ormai attempato enfant prodige della finanza italiana dalla carriera esplosiva, carriera che lo porta nel 2006 ad essere governatore della Banca d’ Italia e nel 2011 ad essere presidente della Banca Centrale Europea, i centri del comando della finanza valutaria prima nazionale e poi continentale. Mi sveglio, leggo il giornale e trovo un’ intervista rilasciata ieri dal nostro ormai “anzian prodige” (mi scusino i francesi) a margine di una conferenza tenutasi alla facoltà di economia dell’ università di Amsterdam: leggo, e improvvisamente mi verrebbe voglia di tornarmene a letto. Cito testualmente i passaggi dell’ intervista nelle parole del nostro Mario Draghi: «Se le banche in alcuni Paesi non prestano a tassi ragionevoli, le conseguenze per l’Eurozona sono gravi»: eh, già, questo è profondamente vero anche se evidentemente Mario Draghi ignora di essere presidente del grande promotore (la BCE) del “Nuovo Accordo sui requisiti minimi di capitale“ altrimenti denominato come trattato Basilea 2, un nuovo meccanismo di valutazione delle imprese unificato a livello europeo e finalizzato alla valutazione della solvibilità del cliente ai fini della concessione di finanziamenti, mutui crediti per operazioni societarie straordinarie; un meccanismo di rating e valutazione che premia le aziende grandi (anche se a capitalizzazione scarsa) a scapito delle piccole imprese. Un meccanismo che ha favorito le grandi acquisizioni di imprese come Telecom Italia in cui uomini ed investitori con poco capitale proprio e molto finanziamento bancario hanno comprato grandi imprese ma in cui il piccolo imprenditore che, in attesa di incassare le fatture deve pagare stipendi, contributi, tasse ed IVA viene ritenuto “soggetto a basso rating” e quindi privato di accesso al credito. Come dire, in termine tecnico, un meccanismo che premia i finanziamenti a medio-lungo termine a scapito di chi ha necessità di liquidità in tempi brevi dando soldi ai ricchi negandoli ai poveri. «La maggior parte delle misure non convenzionali adottate dalle banche centrali in giro per il mondo sono molto simili» ha aggiunto Draghi sottolineando che solo «l’approccio è diverso» e che la Bce «opera in un contesto particolare», con 17 Paesi, e anche qui spiccioli di ovvietà degni dei concorrenti del Grande Fratello: il mio fruttivendolo e la mia banca fanno cose diverse mentre tutte le banche del mondo fanno cose simili essendo tutte quante delle banche. “L’ approccio è diverso”: anche qui grande intuizione, visto che anche mia figlia che non ha ancora compiuto sei mesi ha già capito che fare la banca in Germania, in Francia e in Inghilterra, paesi con economie sane anche in caso di recessione è diverso che fare banca in Grecia, Italia e Spagna, in mezzo alle catastrofi sociali che schiacciano questi paesi ormai a rischio di guerra civile. La BCE “opera in un contesto particolare”: certo, stampare valuta per 17 paesi è diverso che essere la Banca di Credito Cooperativo (ex Cassa Rurale ed Artigiana) nel piccolo comune in cui vivo. “E’particolarmente sconcertante» che le pmi soffrano più delle grandi aziende”: anche mia nonna, casalinga ed ex bracciante agricola lo diceva sempre che quando c’ è la crisi, ai ricchi toccano le preoccupazioni mentre ai poveri tocca la fame e quindi non serve essere un luminare e un docente universitario per capire che i più deboli di fronte alla crisi siano gli imprenditori meno capitalizzati e più piccoli e quindi più poveri. “Dato che fanno i tre quarti dell’occupazione”: evidentemente il Prof. Draghi studia anche le statistiche, visto che la più  grande impresa italiana, L’ Eni a capitale misto e privato è solo al 27° posto per volume d’ affari mentre la prima impresa a capitale privato (la Fiat) veleggia solo al 79° posto e di conseguenza anche una mente semplice potrebbe dedurre che quasi 15 milioni di persone in Italia non lavorano grazie alle multinazionali ma bensì grazie ad una imprenditoria di dimensioni più piccole. “La soluzione per la crisi è ritornare alla competitività”:  anche in questo caso viene enunciato un pensiero geniale, visto che la competitività è sempre la base dell’ economia e dell’ imprenditorialità, anche nei momenti economicamente floridi: un sentito ringraziamento al suo ex collega Mario Monti  che in un anno solo di governo è riuscito ad aumentare pesantemente il carico fiscale a imprese e cittadini, e se non è perdita di competitività questa, me lo spieghi qualcuno. “operando in un contesto di unione monetaria, l’unico modo per ritrovare competitività è perseguire in modo determinato e ambizioso un’agenda di riforme strutturali”: ovvio, è dai tempi degli uomini preistorici che un sano governo e un efficiente Ministero delle Finanze dovrebbero perseguire queste finalità, potendo. Questa agenda deve prevedere “una serie di misure a livello nazionale con le quali si assicuri che i mercati del lavoro e dei beni siano pienamente compatibili con l’unione monetaria”: anche questo è profondamente vero, solo che l’ operaio francese e l’ operaio tedesco sono molto diversi dall’ operaio italiano grazie anche al suo ex collega Mario Monti, che con una splendida legge di riforma a firma Elsa Fornero ha ben sancito che in Germania ci sono i lavoratori mentre in Italia al massimo manodopera e manovalanza. Ometto tutto il resto, visto che l’ intervista viene integralmente riportata su “Il Sole 24 ore” del 15 aprile, proseguendo con altri tecnicismi molto complessi e poco significativi. Mentre è lecito attendersi la fiera della banalità da molti neoparlamentari, giovani di poca preparazione lanciati da oscuri meccanismi elettorali in una realtà di cui non hanno alcuna competenza, è meno lecito aspettarsi questo da un docente universitario, pluriaccademico e luminare, almeno a livello europeo, di economia, una sequenza di banalità che non si sentono nemmeno nei talk show televisivi di Serie B. Ci vorrebbe, oltre che a un governo in Italia,  più idee e meno populismo superficiale anche da parte delle strutture finanziarie che, a livello europeo, dovrebbero essere protagoniste della lotta alla recessione. Oppure no: in molti parlano (e i fatti lo confermano) di un meccanismo mondiale di gestione ed appropriamento delle economie nazionali da parte dei grandi poteri finanziari globali. Ma come diceva Conan il barbaro alla fine del film “questa è un’altra storia”, che merita una accurata riflessione a parte.