ARGENTINA INDEBITATA: LIMITE ALL’ACQUISTO DI DOLLARI E LO SCANDALO DEI FONDI BUITRES

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE A BUENOS AIRES E alla fine Mauricio Macri ha abbassato la testa e ha ceduto. Macri il liberista, che ha vinto le elezioni del 2015 promettendo (e attuando) la totalederegulationsui cambi (fino a un milione di dollari al giorno per i privati), si è visto costretto a ritornare alcepo cambiario: ha dovuto fissare un limite massimo di dollari al giorno acquistabili da un cittadino privato, come peraltro fa ogni paese con uno straccio di normativa antiriciclaggio.Al momento i limiti restano blandi. Nessun limite di estrazione di dollari dal proprio conto corrente, ma solo un tetto massimo all’acquisto di divisa statunitense: 10mila dollari al mese per le persone fisiche e altrettanti per i trasferimenti bancari all’estero su conti di terzi.Misure ragionevoli, indispensabili, che avrebbero dovuto essere prese già all’indomani delle primarie, quando invece si è preferito tentare, senza risultato, di frenare la corsa del dollaro (attualmente scambiato attorno ai 58 pesos, dai 15 circa del 2016). Si è così dato fondo alle riserve dalla banca centrale, bruciando in media 872 milioni al giorno dall’11 agosto scorso, data delle primarie che hanno visto il trionfo del candidato peronista Alberto Fernández e la disfatti di Macri. I tassi di interesse passivi hanno superato il record storico dell’85 per cento.La reintroduzione delcepoha quindi un valore simbolico altissimo per Macri: è l’ammissione del fallimento totale, persino dell’ultimo baluardo della sua demagogia finanziaria.Le ripercussioni psicologiche collettive sono enormi. I piccoli risparmiatori hanno cominciato a ritirare i loro depositi, convinti che da un minuto all’altro tornerà l’incubo del 2001: ilcorralito, ossia il divieto di estrarre dal proprio conto più di una determinata cifra giornaliera, stabilita dal governo. Se consideriamo che buona parte degli argentini i soldi li tiene sotto il materasso, in una cassetta di sicurezza o all’estero, la situazione contabile dello stato si fa ancora più complicata. E se ancora ci fossero stati dubbi, gli investimenti stranieri – annunciati dal governo e mai arrivati – si allontaneranno ulteriormente.Oggi l’Argentina, ereditata da Macri libera di debiti, è di nuovo il paese più indebitato al mondo, con 57mila milioni di dollari da pagare a breve e medio termine, che non sono serviti a stabilizzare l’economia o a rivitalizzare la domanda, ma a finanziare l’eliminazione delle tasse agli esportatori agricoli, zoccolo duro dell’elettorato di Macri. Tanto che lo stesso Fmi aveva suggerito la loro reintroduzione lo scorso anno, valutando che un’ulteriore stretta fiscale a piccole e medie imprese e alle classi popolari e medie avrebbe prodotto una carneficina sociale. Come è puntualmente avvenuto.Nel frattempo, Carlos Melconian – direttore del Banco Nación, una banca di proprietà dello stato, da dicembre 2015 a gennaio 2017 – ha ammesso via Twitter (qui sotto) di essere uno dei titolari dei fondi buitres che nel 2010 hanno fatto causa allo stato argentino, presso il tribunale di New York, per il default del 2001. Durante la presidenza di Nestor Kirchner, la maggior parte dei creditori aveva accettato una ristrutturazione del debito spalmata su vari anni e pagata, in modo regolare e puntuale, con titoli di stato. Solo una minima parte dei creditori aveva venduto il proprio credito a fondi di tipo speculativo (detti non a casobuitres,avvoltoi), che a loro volta avevano fatto causa allo stato argentino. Dopo 15 anni di sentenze e impugnazioni, Macri ha accettato nel 2016 di pagare 9300 milioni di dollari, che includevano non solo il debito, ma anche le spese legali e gli interessi, su cui si sarebbe potuto almeno tentare un negoziato.Melconian era titolare di titoli pubblici per un valore di oltre 772mila dollari, acquisiti durante la tempesta finanziaria del default del 2001. Ora si capisce come mai nel 2013 avesse dichiarato: “I fondibuitressono brave persone che hanno comprato titoli come forma di risparmio”.