CHE COSA PARLIAMO A FARE DI CODICE ROSSO CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Ha adescato una giovane con una scusa, l’ha sequestrata e violentata per ore, minacciandola di morte per indurla a stare zitta e non denunciare. La ragazza, però, non si è fatta intimorire e una volta libera l’ha immediatamente denunciato, l’ha riconosciuto dalle foto segnalatiche e l’ha fatto arrestare. Il suo aguzzino si chiama Sergio Palumbo, un 26enne vittoriese che gli inquirenti conoscono bene perche già in precedenza aveva commesso lo stesso tipo di reato. Già, perché il 26enne Palumbo nel 2018 era stato condannato in primo grado per sequestro, violenza e rapina a 4 anni e otto mesi. In carcere ha passato 4 giorni, poi la misura cautelare è stata convertita agli arresti domiciliari e successivamente in obbligo di dimora. Sorge spontanea una domanda: che cosa parliamo a fare di codice rosso contro la violenza sulle donne se nemmeno di fronte a una condanna per sequestro di persona, stupro e rapina questi soggetti vengono realmente assicurati alla giustizia? E com’è possibile che una persona così pericolosa e che ha commesso reati contro la persona di una tale violenza sia libero di girare ovunque senza i necessari e dovuti controlli? Che cos’è che non funziona nel nostro sistema? Perché che qualcosa non funzioni è evidente a chiunque.