GUERRA IRAN-IRAQ:IL FRONTE DEI MARTIRI

GUERRA IRAN-IRAQ:IL FRONTE DEI MARTIRI

Per comprendere la componente più militante dell’Iran si deve tornare sul fronte dei martiri della guerra esplosa il 22 settembre 1980 contro l’Iraq. Ecco un breve estratto del capitolo dedicato alla guerra con i reportage dell’epoca tratto dal mio libro “Il Turbante e la Corona”. Per comprendere la componente più militante eirriducibile dell’Iran di oggi si deve tornare sulfronte dei martiri della guerra contro l’Iraq. Arrivaisulla linea del cessate il fuoco in un punto delconfine denominato sulle mappe “312 Chawl Zari”, acento chilometri da Bakhtaran. Un soldato iraniano euno iracheno stavano immobili di guardia nella stessabuca, scavata in un terrapieno nella sabbia: una fossalarga due metri e mezzo dove erano costretti aconvivere dalla mattina del 20 agosto 1988. Separatida una sottile intercarpedine di terra e di pietre,con due coperte come giaciglio, si guardavano negliocchi, scambiando mezze frasi e qualche sigaretta. Ilpunto 312 e quei due soldati in trincea erano latestimonianza della follia e dell’inutilità delmassacro. Negli ultimi 500 anni arabi e persiani sulloShatt el Arab avevano combattuto per 25 volte efirmato una ventina di trattati: il conflitto,iniziato il 22 settembre 1980 da Saddam Hussein,determinato a fare un boccone dell’Iranrivoluzionario, proseguito con la volontà di Khomeinidi distruggere il Rais, non aveva spostato il confinedi un millimetro. Ma sul terreno era rimasto unmilione di morti: di questo tributo di sangue erafatto questo fronte mediorientale che in Europa avevaricordato la prima guerra mondiale, le trincee sulleArdenne e del Carso.Vent’anni dopo il presidente Ahmadinejad, ex pasdarancombattente, ricordava così quel sacrifico immane, ilconflitto più lungo e costoso in vite umane del MedioOriente nei tempi moderni “C’è un’arte più bella, piùdivina, più eterna del martirio?”In luglio, qualche settimana prima della tregua, eranostati lanciati gli ultimi Scud iracheni su Teheran.Penetravano nell’aria ondeggiando con una traiettoriaincerta, come se avessero perso forza e convinzionenel tragitto di ottocento chilometri dalle basi dilancio. La parabola di questi missili esausti sidistingueva perfettamente: di giorno lasciavano unascia bianca e grigia nel blu, di notte si annunciavanocon un bagliore, inseguiti dai tracciantidell’artiglieria iraniana. Uno Scud colpì il giardinodell’Hotel Hilton (ribattezzato Enghelab,rivoluzione), scavando una buca di quasi dieci metridi diametro ma poco profonda: tre anni dopo, durantela guerra per il Kuwait, mi sembrarono più efficaci emortali, anche se restavano decisamente meno precisi epotenti dei Cruise americani. Alla vigilia della terzaguerra, nella primavera del 2003, gli iracheniconsentirono ai giornalisti di visitare la base degliScud di Falluja per verificare il lavoro degliispettori dell’Onu. Le rampe di lancio ci apparverodelle strutture abbandonate e sghembe, come degloschizzi nel disegno di un geometra distratto. Da lìnon partì nessun missile ma fu organizzata laresistenza più dura all’occupazione americana. Oggi aFalluja e nella provincia di Al Anbar comandono letribù e le milizie sunnite passate sul libro pagadegli americani per far fuori Al Qaida.Tornando a casa i reduci iraniani, scampati almartirio in nome di Allah e della patria, nonavrebbero certo trovato il Paradiso promessodall’Islam. Le code con le tessere annonarie eranointerminabili e la gente viveva con la radio accesaper sentire quando il Governo avesse organizzato laprossima distribuzione di “coupon” per l’ acquisto aprezzo calmierato di generi alimentari, benzina,sigarette. Con la guerra e i razionamenti, eraproliferato il mercato nero di tutti i beni di consumoe al bazar di Teheran grandi e piccole fortune siaccumulavano sfruttando la penuria alimentare e digeneri di prima necessità . Il primo ministro, HusseinMousavi, aveva ammesso: “In Iran chi è ricco è semprepiù ricco, chi è povero è sempre più povero”. Unaconstatazione banale ma non del tutto innocua in unPaese dove si era fatta una rivoluzione in nome di undio che prometteva anche il riscatto sociale edeconomico. Per correggere gli eccessi della guerra, ilGoverno, allora in mano alla sinistra islamica,avevano impiccato qualche caporione della borsa nerama il mercato illegale della valuta continuava aprosperare. Si faceva la spesa quotidiana con lasporta e le tasche rigonfie di mazzette di bigliettonidal valore quasi nullo, come era avvenuto nellarepubblica di Weimar prima di Hitler, come accadràqualche anno dopo, negli anni Novanta, nella Belgradodi Milosevic. Al cambio ufficiale per 1 dollaro davanosoltanto 70 reali, ma “al nero” si contrattava a 600-650. Nel fatidico 18 luglio, il giorno in cui Khomeiniaccettò la tregua dell’Onu, il rapporto al mercatonero era di 1 dollaro per 1500 reali: l’ annuncio delcessate il fuoco lo fece precipitare a quota 700. Efurono numerosi i suicidi tra gli speculatori cheavevano puntato tutto sulla moneta americana e ilproseguimento della guerra. L’Iran annaspava: laproduzione di petrolio era scesa a un milione e mezzodi barili, quattro in meno meno rispetto ai tempidello Shah, le esportazioni viaggiavano intorno ai700-800mila barili, il governo aveva dovuto rivederein fretta tutte le previsioni economiche basate suincassi che non superavano i 9-10 miliardi didollari.Dall’altra parte del fronte, nella Baghdad delsecolarista Saddam Hussein, tutto ci appariva menodrammatico e preoccupante, anche se pure l’Iraq erasfibrato. Gli hotel della capitale irachena avevanoriaperto i casinò, i bar erano riforniti di wiskey eper la fine della guerra il regime baathista avevaorganizzato mesopotamici festeggiamenti con fuochiarticifiali sulle rive del Tigri. I mercati eranopieni di beni di consumo, l’aria condizionatafunzionava al massimo e gli iracheni si eranoabituati, nonostante i drammi del conflitto, a viverecon tre frigoriferi e due Chevrolet nel box di casa.Nella puritana repubblica islamica di Khomeini siviaggiava su spartane e autarchiche Peykan, prodottedalla fabbrica locale Iran Khodro, mentre lecelebrazioni si limitavano alla messa in scena dellabattaglia di Kerbala dove era stato ucciso nel 680 ilmartire Hussein. Il regime ci invitava calorosamentead assistere a queste rappresentazioni storiche e dipropaganda allo stadio Azadì, come se fossero partitedi football. In Iraq l’atmosfera era invece quella diun dopoguerra affluente, che prometteva aglioccidentali affari pingui alimentati dal petrolio.Niente di più ingannevole. L’Iran, con una popolazionedi quasi 60 milioni, era uscito dalla guerra con undebito estero quasi insignificante di 6-7 miliardi didollari: era un Paese sotto sanzioni americane einternazionali, guardato con diffidenza e isolato, mapadrone del suo destino. Così aveva voluto l’ImamKhomeini.L’Iraq, beniamino dell’Occidente, aveva meno dellametà della popolazione iraniana, 22 milioni, ma undebito estero da capogiro accumulato per finanziare laguerra e le importazioni: 80 miliardi di dollari(diventeranno 120 negli anni Duemila), erogatigenerosamente con le commesse e le forniture europee,russe, cinesi. Metà dei prestiti (40-50 miliardi)erano venuti dalla monarchie petrolifere del Golfo chevedevano nel Rais iracheno una barriera contro larivoluzione islamica iraniana. Saddam Hussein erastrangolato da debiti _ otto volte il reddito annuo _che non avrebbe mai potuto ripagare, se non accettandoun controllo esterno sull’economia e limitazionipesanti del suo potere. Non era più in grado diassicurare agli iracheni un livello di vita superiorea molti stati arabi della regione. Un autorevolestudioso britannico, Fred Hallyday, fa notare che leenormi riserve petrolifere irachene avrebbero comunquegarantito i creditori e come il rapporto tra leesportazioni e i pagamenti esteri dell’Iraq fosse pùfavorevole di quello di tanti stati latino-americani.Il problema è che Saddam Husssein considerava questidebiti una sorta di contributo a fondo perso per unconflitto sostenuto anche per conto terzi: quando nel’90 gli stati creditori del Golfo, tra cui Kuwait,aumentarono la produzione di greggio per tenere bassii prezzi, lo considerò un insulto al suo ruolo didifensore del mondo arabo e le interferenze sullagestione economica del Paese furono considerate daSaddam un atto ostile. Era un dittatore che avevabisogno del pieno controllo della situazione equalunque cedimento esterno, soprattutto dopo unaguerra non vinta contro l’Iran, avrebbe messo inpericolo il suo potere. C’erano le premesse perchétentasse nuove avventure, come avvenne con il colpo dimano in Kuwait del 2 agosto del 1990.La guerra era cominciata nel settembre 1980 conl’invasione dell’esercito di Saddam Hussein dellaprovincia del Khuzestan. Il pretesto era stato ladenuncia dell’accordo di Algeri del 1975 sullafrontiera dello Shatt el Arab, che aveva messo fine aun conflitto di frontiera a bassa intensità mapersistente cominciato nel 1969 e considerato la“prima guerra del Golfo” dell’epoca contemporanea. Inquella lunga fase di attrito, combattuta anche con ilcoinvolgimento dei curdi anti-Saddam, gli Stati Unitinon avevano sostenuto Baghdad, che intanto avevasviluppato buone relazioni con Mosca, ma lo Shah,storico alleato della guerra fredda che ambiva adiventare il “gendarme della regione”. Il trattato diAlgeri stabiliva che il confine passasse in mezzo alfiume, sottraendo agli iracheni il controllo dellasponda iraniana, ma la denuncia dell’intesa erasoltanto il “casus belli”: l’Iraq del sunnita Saddamvoleva cancellare la minaccia rappresentata da unpotere islamico apertamente ostile al suo che avevastretti collegamenti con l’opposizione degli sciitiiracheni ( il 60% della popolazione) ispirata dagliayatollah di Najaf e Kerbala. Il primo aprile del1980, un agente iraniano, forse collegato al partitoDawa, tentò di assassinare il vice primo ministro, ilcristiano Mikhail Yuhanna, meglio conosciuto comeTarek Aziz, braccio destro di Saddam, mentre stavavisitando l’università Mustansariyah di Baghdad. IlRaìs reagì con la deportazione di 17mila iracheni diorigine iraniana nel Nord del Kurdistan e orchestrandouna campagna di repressione del clero sciita checulminò con l’impiccagione dell’ayatollah MohammadBaqer al Sadr e della sorella Amina. Suo nipote,Muqtada Sadr, diventò il leader della rivolta sciitadopo l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003 equando il 30 dicembre 2006 impiccarono Saddam Husseini suoi giustizieri levarono canti e inni in onore diBaqer Sadr e della sua famiglia. Furono anchegiustiziati nell’80 un centinaio di membri del partitosciita Dawa che dopo la caduta del Raìs a Baghdad daràall’Iraq due primi ministri, Ibrahim al Jaafari eJawad al Maliki.Saddam Hussein, diversamente dal passato quando si erascontrato con lo Shah, allora poteva contaresull’appoggio degli americani, in conflitto aperto congli ayatollah iraniani per la questione degli ostaggidopo l’occupazione dell’ambasciata Usa a Teheran nelnovembre del 1979. La comunità internazionale avevadato una sorta di via libera a Baghdad, al punto cheallo scoppio della guerra la risoluzione consiglio diSicurezza dell’Onu chiedeva la cessazione delleostilità senza mai designare l’Iraq come statoaggressore. L’obiettivo di Saddam era quello didiventare la potenza dominante nel Golfo e annettersila regione iraniana del Khuzestan, con popolazionearaba e ricca di giacimenti petroliferi. Gli iraniani,colti di sorpresa dall’attacco a Khorramshahr,riuscirono a riorganizzarsi e a stabilizzare ilfronte. Alla fine dell’81 Teheran aveva riconquistatoKhorramshahr e gran parte del territorio iranianooccupato dagli iracheni, anche se erano staticompletamente distrutti centri importanti come Abadan,sede di una delle più grandi raffinerie del mondo. DalGolfo si levarono fiamme che fecero impennare i prezzipetroliferi fino ai massimi storci dell’epoca (oltre40 dollari al barile).L’anno seguente la guerra da difensiva diventaoffensiva e l’Iran respinge un primo tentativodell’Onu di cessate il fuoco. Con l’aiuto militarefrancese, americano e russo, Baghdad combattebattaglie furibonde ma gli iraniani occuperanno nel1984, le isole di Majnun, i mezzo alle paludi, e ilporto di Fao nell’86, fino ad assediare Bassora, senzaperò mai riuscire a catturarla. L’Iraq, sull’orlodella disfatta, contrattacca e grazie alla superioritàaerea e missilistica scatena la guerra dei tankher,prendendo di mira le navi cisterna iraniane, quindiinizia bombardare con l’aviazione e gli Scud le cittàdella repubblica islamica per demoralizzare lapopolazione. Il conflitto raggiunge livelli di ferociainaudita con l’offensiva Anfal , guidata dalfamigerato generale Alì Majid, detto il Chimico checon i gas uccide 6-7 mila persone nel villaggio curdoiraniano di Halabja. Dall’Occidente, allora, non silevò nessuna voce di condanna contro le armi didistruzione di massa del regime iracheno.Le difficoltà dell’esercito iraniano si aggravano, leondate umane dei martiri, che avevano salvato ilterritorio nazionale dall’invasione, non bastano percondurre una strategia offensiva. Nell’aprile 1988 poigli Stati Uniti affondano la quasi totalità dellamarina iraniana nel Golfo, un segnale inequivocabileche il “Grande Satana”, come Khomeini chiamava gliStati Uniti, era pronto a intervenire direttamente nelconflitto. Gli iraniani furono costretti a ritirarsida Fao e dalle altre isole irachene del Golfo mentrel’incrociatore americano Vincennes nel luglio 1988abbatteva sui cieli del Golfo un aereo civiledell’Iran Air con centinaia di passeggeri, un “errore”dissero gli americani, che comunque amplificò negliiraniani la sensazione che Washinton stesse perattaccare la repubblica islamica. Khomeini incaricòallora il presidente del Parlamento Rafsanjani,nominato ministro della guerra, di accettare larisoluzione 598 di cessate il fuoco del 18 luglio1988. Era “come bere un calice amaro di veleno”,dichiarò l’Imam.