SI FERMA A UN PASSO DAL TRIONFO LA DESTRA TEDESCA, PARTITO DELLA GUERRA

I timori più pessimistici, fondati sui sondaggi, non si sono avverati. Alle elezioni della Sassonia e a quelle del Brandeburgo il partito di estrema destra, l’AfD, ha conseguto rispettivamente il triplo e il doppio di quanto ottenuto 5 anni fa. Ma non c’è stato il temuto sorpasso sui partiti tradizionali. I democristiani dell’uscente Merkel (Cdu) e i socialdemocratici della Spd mantengono il primo posto e con l’ausilio dei Verdi i governi dei due Land non cadranno nelle mani della “Alternativa per la Germania”. Bicchiere mezzo pieno dunque, per le forze politiche tradizionali. Meno, molto meno. Se si va avanti così (prossimo test elettorale la Turingia) il sorpasso pare difficile da contrastare. Con quali conseguenze? Che bandiera ostentano i nuovi arrivati? Lasciamo perdere gli analisti di poche parole (conoscono solo quelle) che parlano di sovranismo perché è di moda. Il fatto che in Europa avanzi ovunque un fronte che si contrappone al progetto di una Unione europea contraddistinto dalla centralità del libero mercato è innegabile. Il fatto che questa contrapposizione si fondi spesso, ma non sempre, su di un’ideologia di estrema destra (xenofoba, autoritaria, antidemocratica) non significa che tragga origini da esperienze storiche analoghe e che quindi tutti i salmi debbano finire nella glorificazione del fascismo e del nazismo. Nel caso della Germania però vale la pena rilevare qualche segnale anomalo di una certa consistenza che ci obbliga ad una riflessione più approfondita e inquietante. In primo luogo la dislocazione geografica del boom della destra: i Land della ex Ddr (la Germania orientale del socialismo reale). Un fenomeno emerso immediatamente dopo la riunificazione, che ha probabilmente origini antiche. Tra queste, i maldestri tentativi di denazificare la popolazione da parte degli apparati educativi dello stato socialista, condotti seguendo i precetti di un approccio pedagogico tanto enfatico quanto controproducente. Da non trascurare il lascito dei crimini di guerra degli Alleati e dell’Armata rossa, censurati al punto da far passare come storici credibili quegli storici neonazisti come David Irving che per primi documentarono il massacro dei civili da parte dell’aviazione britannica (guarda caso soprattutto in quella Dresda capitale della Sassonia che ha appena votato). Poi, in tempi più recenti, il degrado di molte aree rurali interne, soprattutto a est, dove si è assistito a un parallelo esodo della popolazione accompagnato dalla chiusura delle scuole. E’ in quei Land che il voto AfD è il doppio di quanto registrabile nell’ “occidente” teutonico. Un elemento preme però sottolineare, che fornisce opportunità di paragone col successo della Lega in Italia. Il voto per la destra tedesca della classe operaia si diversifica da quello, altrettanto significativo, per la Lega, di parecchi operai italiani. Se da noi tale voto proviene in larga parte da iscritti alla Cgil, in Germania lo spostamento del voto si accompagna ad un boom di iscritti al sindacato della destra. Come dire che il voto tedesco, nazista o meno che lo si voglia chiamare, è ideologicamente più organico ad una visione del mondo più intensamente velata da nostalgie allarmanti. Altre considerazioni si rifanno alle analisi del voto svolte negli anni passati. Il successo della AfD sembra contraddistinto più ancora che per i disagi dell’oggi, per i timori, davvero non infondati, che in un domani le cose possano peggiorare. In Germania, il ceto medio e una certa classe operaia professionalizzata, oggi, prima che impoveriti, sono a rischio di impoverimento. Il timore contagia fasce di popolazione che si ritengono più vulnerabili e serpeggia fortemente, generando razzismo, anche dove le spese pubbliche per i profughi, a est, sono meno consistenti e dove il numero dei migranti forzati si mantiene contenuto. Molti elettori denunciano le promesse mancate da Cdu e Spd, con la relativa delusione delle aspettative, come ragione del proprio spostarsi a destra. In conclusione, se il ridursi dell’astensionismo ha prodotto qualcosa di nuovo, si può dire che sia caratterizzato dalla capacità della destra di intercettare timori latenti e convertirli a un’ideologia profondamente e organicamente reazionaria. E’ questo che induce a temere che le ragioni di queste svolte elettorali, più che di natura strettamente economica, consistano nella sensazione di buona parte della popolazione di trovarsi in un bunker e che solo una guerra li possa salvare. Guerra interna al migrante dunque, a dispetto di una leader democristiana uscente, come la Merkel, che aveva cercato di integrare in Germania un milione di stranieri con titoli di studio apparentemente compatibili col mercato del lavoro interno. Operazione osteggiata a destra dal suo stesso partito (ma certo poco sostenuta pure dalle sinistre). Tanto da far dire ai vincenti della AfD che un avvicinamento tra loro e la Cdu del dopo Merkel non è impossibile. Ma sullo sfondo c’è chi teme anche il riaffiorare di progetti di guerra contro l’esterno. Minaccioso, secondo molti, il ruolo assunto dentro alla AfD da esponenti delle forze armate, con un generale a tre stelle, che è candidato sindaco di Hannover. Basterà a fermare l’onda nera un’alleanza, magari non dichiarata, di tutte le altre forze, come pare sia avvenuto domenica? Certo più che di assembramenti difensivi si sente la mancanza di progetti politici, difficilmente registrabili lungo un arco di forze (o debolezze) che copre la destra come la sinistra. Gridare al neonazismo può essere ancora una volta semplificatorio e riduttivo, ma che si senta odore di bruciato è comunque innegabile.