STORIA TRISTE DI MEDIA LUNGHEZZA

STORIA TRISTE DI MEDIA LUNGHEZZA

Sul 16 sale un tizio di circa settant’anni, che nell’aspetto sta esattamente a metà tra Gianni Ippoliti e Davide Mengacci. IT m’ha impressionata meno, comunque andiamo avanti.Il tizio – per comodità lo chiameremo Gianni Mengacci – perde l’equilibrio e quasi si stravacca in braccio a un signore seduto vicino alla porta. Si scusa, perché ovviamente non è colpa sua. È colpa dei n***i e dei musulmani, grida, che ci invadono e riempiono il tram e lui non può salire, ma siccome Dio è grande li ridurrà in cenere.Io e una ragazza dalla maglietta verde – tutto fuorché leghista, nonostante l’apparenza – incrociamo lo sguardo: in una frazione di secondo capiamo che ci faremo da sponda a vicenda e decidiamo d’intervenire. Attacca lei.– Non dovrebbe dire queste cose, soprattutto in una zona come Porta Palazzo. Ma sa dove sta andando? Con queste idee per forza andiamo a catafascio.Gianni Mengacci la fissa con odio e le scarica contro una valanga d’insulti e volgarità a un volume da concerto rock.Io mi avvicino.Gli metto una mano sulla spalla, lo guardo.Lui pensa stia arrivando manforte.Gli parlo con tono sereno.– Lei è un nazista. Una brutta, vecchia merda nazista che fa a gara a chi grida più forte. Solo che io non ho bisogno di urlare per dirle quello che lei è davvero, cioè una merda nazista. E se il Dio di cui tanto blatera esiste, a finire in cenere sarà lei, maledetta merda nazista. In ogni caso, morirà, e il mondo senza di lei sarà un posto migliore. Brutta merda nazista.Gianni Mengacci non demorde, arriva una seconda ondata di epiteti poco lusinghieri a 200 decibel, stavolta indirizzata a me. La condisce con invocazioni all’Onnipotente, perché si sa, se nomini Gesù mentre dai della “puttana schifosa” a una che ti mette davanti alla tua vera essenza, Gesù è felice, e la sua mamma di più.Scendiamo a Porta Palazzo tutti e due. Continua a insultarmi finché non ha più fiato, anche se ormai gli do le spalle e ho attraversato la strada.Anche oggi stiamo tranquilli domani, però il mio l’ho fatto.