SU ‘VIVERE’ MEGLIO IL SILENZIO

SU ‘VIVERE’ MEGLIO IL SILENZIO

Avrei preferito un dignitoso silenzio sul tema. Ma siccome amiche e amici che seguono le mia cronachette di cinema su Facebook mi chiedono, pubblicamente e privatamente, pure con una certa insistenza, perché io non abbia recensito “Vivere” di Francesca Archibugi, offro una semplice, sincera, nitida spiegazione. L’ufficio stampa non mi ha invitato all’anteprima per i critici, a fine agosto, e questo mi pare già un piccolo atto di maleducazione. In ogni caso avrei potuto vedere il film alla Mostra di Venezia, dov’era stato piazzato “generosamente” (non sono io a dirlo) tra i fuori concorso, o al cinema, dove è uscito giovedì scorso, totalizzando 248mila euro in quattro giorni, con circa 280 copie in giro.Non l’ho fatto. La verità bell’e buona? Da anni considero Francesca Archibugi, qui purtroppo coadiuvata da Paolo Virzì e Francesco Piccolo alla sceneggiatura, una regista di scarso interesse e di pigra creatività, murata viva in un mondo psicologico autorefenziale, emotivamente stracco e lezioso. Lei stessa, qualche giorno fa, durante la trasmissione radiofonica “Non è un Paese per giovani” condotta da Giovanni Veronesi, s’è chiesta se vale ancora la pena di fare i suoi “filmetti”. Fa bene. Ma la domanda vera da rivolgere a Raicinema sarebbe un’altra: perché glieli fanno ancora fare?