VENEZIA 76 IN THE KING UN RE CON POCHI MUSCOLI MA DECISO

“Il mio mito? Joaquin Phoenix. L’ho incrociato proprio ieri in ascensore, ma non mi ha detto neanche ciao…”. Vabbè, Phoenix non può mica salutare tutti i suoi fan.Ma a raccontarti di essere stato nell’ascensore con lui, non filato di pezza, è Timothée Chalamet, la cosa cambia un po’.Perché Timothée è uno dei talenti emersi col punto esclamativo fra gli attori giovani degli ultimi tempi, candidato all’Oscar a ventidue anni soltanto, un record.Il ragazzo di “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino ha lo sguardo magnetico e dolente di Montgomery Clift, ha l’intensità febbrile di Daniel Day-Lewis. Occhi verdi puntati disperatamente verso un punto lontano. Ma Joaquin Phoenix, se stava come lo abbiamo incontrato poche ore prima, probabilmente non si è accorto di nulla. E non lo ha riconosciuto. Chalamet è a Venezia come protagonista di “The King” di David Michod, presentato fuori concorso. Prodotto da Netflix, sarà disponibile sulla piattaforma online dall’1 novembre. Siamo all’inizio del Quattrocento, in Inghilterra: tempi di battaglie, di cavalli, di spade, armature in ferro battuto. Chalamet è un principe giovane: un ragazzino che si trova, riluttante, a salire al trono, a decidere vita e morte di migliaia di persone. Ma ha coraggio, intelligenza, senso del giusto. Diventerà re Enrico V, quello celebrato da un dramma di Shakespeare, a cui però il regista dice di non essersi ispirato troppo. È strano, è nuovo, è sorprendente il re interpretato da Chalamet. Magro, adolescenziale, niente muscoli. Ma deciso. Capace di infiammare i suoi soldati, e il pubblico, con un discorso bellissimo. Arriva all’incontro vestito di chiaro, il ciuffo di capelli neri ribelle sulla fronte, saluta dando la mano e hai l’impressione che potrebbe anche fermarsi a parlare più a lungo.A un certo punto, parla degli attori che sono, per lui, punti di riferimento. “Heath Ledger, Philip Seymour Hoffman e, appunto, Joaquin Phoenix. C’è una scena in ‘The Master’ di Paul Thomas Anderson in cui Hoffman e Phoenix sono uno di fronte all’altro, e quasi non si dicono una parola. Beh, quella scena ha avuto, per me, il valore di un intero corso di recitazione”. Chissà se anche i pochi secondi in cui non si sono detti una parola dentro l’ascensore ha avuto lo stesso effetto. Ma Tumothée sorride, tranquillo, e saluta con un’umiltà serena, rara.