ECUADOR: PROCLAMATO LO STATO D’ECCEZIONE PER LA RIVOLTA DEI CARBURANTI

ECUADOR: PROCLAMATO LO STATO D’ECCEZIONE PER LA RIVOLTA DEI CARBURANTI

Da tre giorni in Ecuador è stato dichiarato lo stato d’eccezione, dopo le proteste popolari per l’aumento del prezzo della benzina e altre misure di austerity concordate dal presidente Lenín Moreno con il Fondo monetario internazionale (Fmi). In particolare, l’eliminazione dei sussidi statali sui combustibili, con un aumento previsto dei prezzi superiore al 100 per cento già il giorno successivo, tanto che subito dopo l’annuncio si sono formate lunghe file ai distributori, nel tentativo di fare scorta prima che l’aumento dei prezzi fosse stato operativo.Ilpaquetazo, come è stato ribattezzato il pacchetto di misure annunciate da Moreno, è la contropartita richiesta dal Fondo dopo l’apertura di una linea di credito per l’Ecuador di oltre 10mila milioni di dollari, concessi da vari organismi finanziari internazionali. Il solo Fmi ha contribuito con 4.200 milioni, in cambio di una riduzione della spesa pubblica e di una serie diajustes(strette fiscali) per soddisfare quello che è il parametro preferito dagli economisti di scuola monetarista: l’annullamento del disavanzo primario. Ex ante, ovviamente, prima di valutare gli effetti reali dell’aggiustamento sui conti dello stato e sul Pil. Dalle nostre parti qualcuno, per dire, ha anche avuto la bella idea di inserirlo in Costituzione.La misura colpisce le classi medie, medio-basse e popolari. Il provvedimento, infatti, non renderà soltanto più costoso spostarsi con la propria auto, ma porterà a un aumento del biglietto degli autobus e rimbalzerà sui prezzi al consumo in modo generalizzato. A manifestare, oltre agli autotrasportatori, sono stati studenti universitari, militanti di organizzazioni sociali, rappresentanti delle comunità indigene, che temono un’escalation di repressione che criminalizza la protesta.“Come misura cautelare al fine di tutelare la sicurezza ed evitare il caos, ho disposto lo stato d’eccezione a livello nazionale” ha annunciato il presidente da Palacio de Carondelet, sede del governo, mentre a Quito, la capitale, erano in corso violenti scontri tra forze dell’ordine e manifestanti.Malgrado le disposizioni del presidente, la gente ha continuato a sfidarlo restando in strada, mentre la polizia lanciava gas lacrimogeni. La prima giornata, giovedì 3 ottobre, si è conclusa con 35 feriti e circa 300 arrestati. Lo stato d’eccezione, proclamato per 60 giorni, prevede limiti alla mobilità delle persone, la censura preventiva della stampa e la possibile chiusura di porti, aeroporti e frontiere.Il copione non è nuovo, bensì ricalca quello che sta accadendo in Argentina e Brasile. Con un elemento di meraviglia in più: in Ecuador queste politiche sono portate avanti da un governo sedicente progressista. L’attuale presidente Lenín Moreno, eletto al ballottaggio nel 2017, era stato il vice di Rafael Correa, quindi uno dei protagonisti della “década ganada” (la decade vinta”), quei dieci anni, all’inizio del nuovo millennio, in cui sembrava che il Sud America fosse in grado di tenere testa all’egemonia statunitense, al neoliberismo, al capitalismo finanziario e al Fmi. Il tutto attraverso politiche integrazione regionale portate avanti da presidenti come Nestor Kirchner in Argentina, Hugo Chávez in Venezuela, Lula in Brasile, José Mujica in Uruguay e lo stesso Correa in Ecuador. Ma già alla fine del secondo mandato di quest’ultimo, l’Ecuador cominciava a segnare il passo. L’uscita del paese dalla dollarizzazione e il ritorno a una moneta nazionale non sono stati realizzatiper eccessiva onerosità; la sinistra ecologista criticava pesantemente il presidente perle sue scelte ambientali troppo tiepide su temi come le miniere a cielo aperto, lo sfruttamento petrolifero a cui è stata sacrificata una porzione del Parco Nazionale Yasuní, la monocultura e l’uso di semi transgenici. Un regalo fatto da Correa a Monsanto alla fine del mandato, quando ha messo il veto su una legge sulla biodiversità e l’agricoltura sostenibile che avrebbe proibito le coltivazioni transgeniche.Moreno, vincitore al ballottaggio delle elezioni presidenziali del 2017, contro il conservatore Guillermo Lasso (con il 51,16 per cento dei voti), evidenzia fin dai primi mesi un disallineamento con il suo predecessore, optando per un politica conservatrice sul fronte interno e neoliberista per quello che riguarda le relazioni economiche internazionali. Apre il dialogo alla destra, allontana i politici “correisti” dal suo entourage, nel 2018 promuove un referendum, passato con il quasi 66 per cento dei voti, che impedisce un’eventuale rielezione di Correa al terzo mandato. Sempre nel 2018, Correa viene raggiunto da un mandato di cattura con l’accusa di essere stato il mandante del sequestro di un avversario politico, il parlamentare Fernando Balda (www.alganews.it/2018/07/09/ecuador-mandato-di-cattura-per-sequestro-di-persona-per-lex-presidente-rafael-correa/).L’episodio più clamoroso, tuttavia, riguarda la consegna di Julian Assange alla polizia britannica ad aprile scorso. Il fondatore di Wikileaks, al quale Correa aveva concesso asilo politico, viveva da sei anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, da cui – per decisione di Moreno – è stato espulso, per presunti comportamenti scorretti e minacce al personale. Una decisione che ha suscitato forti polemiche, dal momento che Assange aveva anche ottenuto la cittadinanza ecuadoriana.È la seconda volta in pochi anni che un politico conservatore e autoritario diventa presidente dell’Ecuador facendosi passare per progressista e democratico. Il precedente illustre risale al 2003, quando Lucio Gutiérrez vinse le elezioni sostenuto da una coalizione di sinistra, ma si accordò poco dopo con la destra, rafforzò il legami economici con gli Usa, fece sostituire i giudici della Corte Suprema con altri a lui affini. Gutiérrez venne esautorato dal parlamento e costretto alle dimissioni. Ma nel 2005 la congiuntura interna e regionale sudamericana era molto diversa da quella attuale, che oggi garantisce a Moreno grande libertà d’azione e ottimi appoggi internazionali.