RAPPORTO SIRIA: DAL 2011 ATTACCATE 76 CHIESE

Il conflitto siriano ha coinvolto tantissimi luoghi di culto, musulmani e cristiani, di inestimabile valore. Non è sufficientemente noto, per esempio, che tra questi figurano una chiesa dove si afferma si esercitasse il culto già nel I secolo, come un’altra del V secolo. Chiese colpite più volte e in un caso con i bulldozer, in qualche caso trasformate in stazioni militari. Un’analisi dettaglia di tutte le distruzioni arrecate alle chiese siriane dall’inizio del conflitto si trova ora nel rapporto pubblicato dal Syrian Network for Human Rights, Snhr. Sovente citato come fonte dall’ufficio dell’Onu per i diritti umani, dalla «Commissione Internazionale Indipendente sulla Siria» e da diverse Ong internazionali per la difesa dei diritti umani, tra le quali Amnesty International, il Snhr è invece considerato schierato con gli insorti dalle autorità di Damasco. È però il gruppo che ha prestato maggiore attenzione alle chiese siriane. In precedenza aveva diffuso al riguardo numerosi comunicati stampa e un altro rapporto nel 2015. Il rapporto dettaglia chi controllava la zona in oggetto al momento dell’attacco e chi attaccava o assediava. Per attribuire le responsabilità, in qualche caso definita ancora non sicura, si afferma di aver usato propri inviati sul posto quando possibile, i racconti delle vittime, le loro testimonianze filmate, quindi tutta la documentazione visiva rinvenuta. Il dato più chiaro è che raramente una chiesa è stata attaccata una sola volta, in alcuni casi è emerso che alcuni luoghi di culto sono stati attaccati da entrambi i belligeranti e che alcune chiese sono state colpite più volte, sette volte nel caso di Nostra Signora della Pace di Homs. Il totale delle chiese colpite infatti arriva a 76, mentre le azioni armate sono quasi il doppio, 124. Proprio la ripetizione degli attacchi viene ritenuta grave, pur trovandoci in un contesto di scontri urbani gli attacchi multipli indicano per gli estensori del rapporto l’intenzione dei belligeranti di distruggere luoghi di culto, Emergono anche delle novità. Se è noto per esempio il caso, di cui si offre anche documentazione fotografica, del monastero di Mar Elian, dove il 19 agosto del 2015 l’Isis inviò i bulldozer a distruggerlo, non altrettanto si può dire dei luoghi di culto cristiani trasformati in sedi militari: secondo il rapporto è accaduto in 11 casi, sei dei quali opera dell’esercito siriano o di milizie a esso alleate, due delle fazioni armate in lotta con il regime e tre dei gruppi terroristi, Isis e Hay’at Tahrir al Sham. Passando alle responsabilità, delle 124 azioni rilevate il rapporto ne attribuisce dieci all’Isis e due al gruppo terrorista di Hay’at Tahrir al Sham, per un totale di 12. Quattro le indica a carico di «altri», presumibilmente jihadisti e in un caso si presume senza certezza da parte di gruppi curdi. Le varie fazioni delle forze di opposizione al regime, cioè i gruppi a vario titolo riconosciuti, vengono indicate come colpevoli di aver colpito 33 volte. 75 sono le azioni che il report indica come condotte dalle varie forze leali a Damasco, cioè l’esercito siriano e le varie milizie locali, libanesi, irachene o iraniane intervenute in suo aiuto. È il 61% del totale. Per quanto riguarda il numero totale degli edifici di culto colpiti il regime e le milizie ad adesso sono indicati come responsabili per gli attacchi a 48 chiese, le forze delle opposizioni armate a 21 chiese, i gruppi definiti ufficialmente terroristi contro dieci, otto dall’Isis e due da Hay’at Tahrir al Sham. Dunque questo rapporto offre una dettagliata ricostruzione dei fatti che nega la fondatezza di uno dei tasselli basilari della narrativa del regime siriano, quello di essere il protettore dei cristiani, già implicitamente contraddetto dal comunicato stampa del Snhr che nel 2013 affermava che nel corso del precedente anno, quando l’opposizione armata al regime si formava, si registravano gravi attacchi a numerose chiese. E oggi al riguardo il direttore del Syrian Network for Human Rights, Fadel Abdul Ghani afferma: «Mentre sostiene di non aver commesso alcuna violazione della legge internazionale e che protegge lo Stato siriano e i diritti delle minoranze, il regime ha condotto operazioni di rilievo per sopprimere e terrorizzare tutti coloro che desideravano cambiamenti politici e riforme, senza alcuna distinzione di religione o di razza tra di loro, né mostrando scrupolo per la possibilità che questo comportasse la distruzione del patrimonio culturale siriano e lo smembramento comunitario delle minoranze religiose». Questa convinzione era già chiara nel rapporto su chiese e cristiani in Siria divulgato dal Snhr nel 2015. I fatti successivi, che racconteremo, confermerebbero e aggraverebbero il quadro. Scriveva infatti nel 2015 Wael Aleji, portavoce del Snhr, nelle conclusioni del rapporto: «I cristiani e i loro luoghi di culto hanno sofferto tanto quanto gli altri siriani. Missili, armi chimiche, e barili bomba non fanno differenza tra cristiani e musulmani. E, dopo la crescita ed espansione dei gruppi terroristi, i cristiani hanno sofferto diversi tipi di discriminazione e violenza sebbene abbiano vissuto in armonia con i musulmani per secoli. I cristiani sono stati intrappolati e schiacciati tra il fuoco di Assad e l’inferno dei gruppi estremisti». L’analisi del 2015 si conferma dunque in quella odierna e ne va compresa la logica. Tutte le cronache convergono nel raccontare che per recuperare i territori di cui aveva perso il controllo dal 2011 e 2012, il regime siriano ha fatto largamente ricorso prima agli obici, poi a barili bomba lanciati sui centri abitati fuori dal proprio controllo, poi a intense operazioni di bombardamento aereo. Dunque l’entità delle azioni governative deriverebbe da una campagna di normalizzazione e riconquista definita indiscriminata. E l’Isis? I numeri apparentemente contenuti, a fronte però di azioni tese non solo a colpire ma anche a cancellare, si spiegano: non ha condotto campagne aeree, ha conquistato territori dove si trovano soltanto due città importanti e quindi dove la popolazione cristiana e i suoi luoghi di culto sono meno numerosi che altrove. Nei territori che furono dell’Isis si trovano le non grandissime Raqqa e Deir ez-Zoor, nell’altro versante del Paese invece abbiamo Damasco, Homs, Hama, Aleppo, Latakia, Daraa e Idlib, dove hanno combattuto il regime e le forze armate di opposizione. Dal dettaglio delle mappe emergono particolari rilevanti. Cominciamo dalla prima grande battaglia urbana, quella che ebbe luogo tra le forze fedeli ad Assad e gli insorti che avevano preso il controllo dell’importante città di Homs. Siamo all’inizio della militarizzazione del conflitto. Secondo il Syrian Network for Human Rights qui sono state compiute 29 azioni armate contro molte chiese cristiane, 27 imputate al regime, una ai gruppi armati di opposizione e una ad altri. Il regime ha sempre sostenuto che le chiese furono bombardate dagli stessi insorti assediati dentro Homs. Il rapporto capovolge il quadro. Ma perché 27 attacchi su 29 da parte del regime? Dalla mappa emerge, per esempio, che soltanto nella centralissima «vecchia città» si trovano sette chiese, cinque delle quali molto vicine l’una all’altra e tutte colpite; il frutto del bombardamento martellante di quel tempo, il cui obiettivo era comunque la riconquista del centro urbano, strategico perché collocato sull’autostrada che collega Damasco e Aleppo? Un altro luogo strategico lì vicino è il fiume Oronte: e lì si vede Mar Elias, indicato nel rapporto come obiettivo di più azioni. Passiamo a un’altra città, dove ha avuto luogo una successiva battaglia, anch’essa urbana ma molto diversa; è la battaglia di Aleppo, il cui esito ha dato la vittoria militare al regime. Qui vengono indicati 34 attacchi contro le chiese, dei quali 24 per opera dei gruppi armati di opposizione, sei da parte delle forze fedeli al regime, tre da altri soggetti e un attacco da parte dei terroristi di Hay’at Tahrir al Sham. Dunque le proporzioni si invertono, la ricostruzione è molto più vicina a quella cara al regime siriano. Come mai? A differenza di Homs, Aleppo è stata divisa, un versante in mano agli insorti e uno in mano ai lealisti. Il quartiere cristiano si trovava in questo secondo versante della città, non distante dalla linea del fronte. Il rapporto enfatizza un particolare rilevante: sia la chiesa latina che quella armena Emmanuel sia quella di San Giuseppe sono state colpite da granate lanciate di domenica, il 25 ottobre 2015 la prima, il 17 gennaio 2016 il 24 aprile dello steso anno le altre due. Ciò nonostante fu ferita soltanto una persona, i danni causati limitati, ma il fatto viene sottolineato. Una dinamica non dissimile ha riguardato Damasco e i suoi suburbi orientali, la famosa Ghouta, essenziale per controllare la capitale. Premesso che attacchi a luoghi di culto si registrano anche a Hama, a Latakia, ad Idlib e a Daraa, nella città di Damasco le armi dei gruppi militari ribelli, che controllavano la limitrofa Ghouta, hanno colpito sei volte le chiese, tutte nel versante urbano vicino alla linea del fronte, mentre un attacco è attribuito ai governativi. Il quadro si capovolge nella Ghouta. Qui, secondo il rapporto, gli uomini di Assad che hanno sottoposto l’area a lungo assedio hanno colpi venti volte diverse chiese, in un caso solo le forze di opposizione. Dei venti incidenti imputati al regime tre hanno colpito la chiesa ortodossa di San Giorgio: tutto comincia nel 2013, quando il regime avviò il tentativo di sottrarre quell’area ai ribelli e prosegue fino a quando l’azione militare, con bombardamenti aerei, riuscì nel suo intento, nel 2018. Il primo attacca risale proprio al 2013, il giorno 24 marzo, e proprio un bombardamento aereo ha causato l’ultimo danno al monastero di San Giorgio l’8 febbraio del 2018. Le conclusioni cui giunge il rapporto ricordano quanto indicò padre Paolo Dall’Oglio, testimone della campagna per la riconquista di Homs nel 2012. Negando già al tempo che ci fosse un protettore dei cristiani, Dall’Oglio affermava che il regime siriano agiva contro le città insorte con azioni indiscriminate, mirate a riconquistare tutto il territorio. Riconquistare e mettere a tacere ogni dissenso. Questa visione comportava già allora una conseguenza: accusando gli insorti di quegli attacchi il regime poteva anche presentarsi come protettore del cristiani. È una lettura che alcuni non hanno condiviso, sebbene sia strana l’idea per cui durante l’assedio di Homs, o in alcune circostanze analoghe successive, i rivoltosi sottoposti ad assedio si siano auto-bombardati.