L’UOMO DEL LABIRINTO. SERVILLO, HOFFMAN E IL CUORE HORROR DI CARRISI

Sarà perché il temadarkdel film, il suo tenebroso cuore, è un gioco sadico tra vittima e carnefice nel Labirinto senza Specchi (si capirà perché); sarà perché Donato Carrisi, autorebestseller, per la sua seconda volta da regista sceglie una pista horror onnivora e densa di citazioni, dalnoir Usadiserial killeralle sue declinazioni più intellettuali o piùsplatter; ecco, sarà per questo ma ilgamecinefilo perL’uomo del labirinto, prima ancora di provare a indovinarne il finale, diventa il cimento di elencare iremake, i prestiti e le strizzate d’occhio in un campionario di tortuosi e innumerevoli spaventi, sia visivi che mentali. Sawtutto intero eDonnie Darko(per il coniglio mannaro) impattano con una suggestione pervicace daThe Manchurian Candidate; la metafisica fumettistica diSin Citysi sposa a tratti con il neogoticotrashdiSeven, l’Ammaniti alla Salvatores diCome dio comanda– il film peraltro è prodotto dalla Colorado – tange l’antica trilogia di Dario Argento, e così via divertendosi e appassionandosi (o interessandosi, almeno) alle peripezie parallele di una ragazza liberata da lunga prigionia e ora a colloquio colprofilerDustin Hoffman, e del detective Toni Servillo che la cerca a modo suo: sporco, in sandali, sfumacchiando, con in tasca un certificato di morte per lui stesso già redatto dai solerti medici del Santa Caterina. Dunque: l’ospedale Santa Caterina, dove tutto converge, è l’unico luogo quasi italiano di una vicenda ambientata in una metropoli buia e simbolica, dove la Casa vicino alla Palude si chiama proprio così, con le maiuscole, la Vecchia Pazza idem e il Bosco anche. I vari personaggi, poi, come in un albo diDiabolik, hanno nome e cognome italo-stranieri sebbene invertiti – per esempio la rapita fa Samantha di nome, Andretti di cognome. Per aumentare lo spaesamento dello spettatore e pure per motivi didesigndegli ambienti, il tempo della vicenda – ultraterreno o, persino, immaginario? – è indefinibile in stile distopia, e confuso anche tecnologicamente: registratori a mini cassette, a cui Servillo confida nel finale una ritrovata religiosità del quotidiano, convivono coi cellulari usati da ragazzotti sfigurati per avvisare la polizia, una scassata Saab romba mentre friggono gli schermi dei computer seppured’antan. Morale dell’horror: Carrisi ha lavorato duro, inventando, reinventando, costruendo ogni scena, ogni luogo dove passa la sua umanità dolente e maledetta; gli attori sono o bravi o così così e il film ha l’internazionalità, per quello che abbiamo sopra annotato, necessaria per le ambizioni dibox office. Ci sono giusto un paio di buchi di sceneggiatura e unvoiceoverservilliano che a volte imbroglia troppo le carte, ma davvero, chi si lamenta, lo giri lui un film di spavento così. Ribatte il criticone: alla fin fine, però, si rimane alla profondità del fumetto, i personaggi rispondono acliché, il saggio psicopatologico alla Freud e la tragedia greca, idem l’horrord’autore che indaga la realtà (come direbbe Roberto Nepoti) stanno fuori vista. Pazienza, ci si svaghi lo stesso. E chi non capisce qualcosa, si arrangi col libro. Come sta facendo l’umile estensore di questa nota.