IL GOVERNO GIALLO-ROSA AL BIVIO

IL GOVERNO GIALLO-ROSA AL BIVIO

Quando in agosto vi fu la crisi del governo giallo-verde mi preoccupai, sia perché ho sempre pensato che la crisi è stata determinata da pressioni e ricatti sulla Lega dei nostri padroni d’oltreoceano a causa di una politica estera troppo disubbidiente, sia perché si aprivano tre scenari di cui due molto pericolosi: un governo del presidente, una sorta di Monti bis, o elezioni anticipate (che avrebbero visto la sicura vittoria del centro-destra), entrambi con un esito peggiore sia in politica estera (riallineamento filo-Usa) che in politica economica (fine di ogni velleità statalista e di giustizia sociale). Quando ha prevalso il terzo scenario, accordo M5Stelle-Pd, ho tirato un sospiro di sollievo e non ho giudicato il nuovo governo che si stava formando, come fecero molti, con la vecchia impostazione anti-Pd (1), e quindi negativamente, sia perché il Pd era, ed è, in una fase di trasformazione (dai cui esiti incerti), sia perché il rapporto col M5Stelle avrebbe potuto giovargli e favorire una evoluzione positiva della sua trasformazione. Non so se la mia era una speranza più che una analisi della realtà, tuttavia le cose fino ad ora sono andate positivamente ed ora di fronte alla vicenda Ilva sono giunte ad un bivio, al bivio decisivo. Le cose sono andate finora positivamente, nonostante una campagna mass-mediatica sempre più ostile, sia perché la politica estera e in particolare la politica estera italiana nei confronti della Cina, cosa che aveva provocato gli attacchi degli imperialisti (2), non si è modificata, anzi si è consolidata con il ministero degli Esteri preso da Di Maio, sia perché la politica economica della progettata prima finanziaria, non a caso attaccata così aspramente dai soliti commentatori liberisti, è improntata ad una logica redistributiva attraverso – e sarebbe la prima volta dopo anni – una riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro dipendente. Ora il governo, e il M5Stelle e il Pd, si sono trovati di fronte alla vicenda drammatica dell’Ilva. E non so se è una coincidenza ma i soliti commentatori liberisti stanno utilizzando la vicenda dell’Ilva per mettere in crisi il governo con i 5 Stelle e aprire la strada a Draghi, che nel frattempo è scaduto da presidente della banca centrale europea. Se il Pd sulla vicenda Ilva segue le sirene liberiste che si fanno sempre più forti (cioè dare mano libera alla logica del profitto a tutti i costi e a un ruolo dello Stato subalterno alle grandi imprese), apre la strada alla crisi di questo governo, ad un governo Draghi e viene mangiato vivo da Renzi (e Zingaretti fa la fine di Bersani). L’unico modo per evitare questo esito è di convergere col M5Stelle nell’unica soluzione possibile per mantenere l’Ilva e i suoi livelli di occupazione risanandola ambientalmente, una nazionalizzazione dell’ILVA, anche coinvolgendo imprenditori privati o per esempio la Cina (3), disponibili ad accettare le condizioni poste dal governo italiano (4). Il risanamento e il rilancio della produzione compatibile con l’ambiente è un progetto di politica industriale di lungo respiro, che richiede risorse e tempi incompatibili con le esigenze di profitto immediato di una multinazionale, ma che solo lo Stato può garantire. Del resto lo stesso Romano Prodi, considerato il recordman delle privatizzazioni, ha ammesso di recente, in una intervista televisiva, che lo smantellamento del sistema industriale pubblico, di cui l’Ilva era parte fondamentale, non fosse una bella cosa, ma una scelta obbligata dalle istituzioni UE. Certo, sembra il comandante di un campo di concentramento: “io non sono responsabile, ho solo eseguito gli ordini”, tuttavia questa dichiarazione è una chiara autocritica di merito sulla politica delle privatizzazioni. La politica italiana è a un bivio, può evolvere positivamente o regredire pesantemente. (1) La mia posizione è stata sempre netta rispetto al Pd. Mentre molti a sinistra manifestavano illusioni su un possibile spostamento a sinistra del Pd, ho sempre invitato a fare politica con la realtà e non con i desideri, e la realtà è sempre stata quella di un continuo spostamento a destra del Pd, anche con la segreteria Bersani, il quale arrivò nel 2011 a spingere il governo Berlusconi a superare i tentennamenti e a partecipare ai bombardamenti sulla Libia (e c’era qualcuno che ci voleva fare una alleanza elettorale facendo il paragone con il CNL) e poi a sostenere il governo Monti. Ma penso altresì che con la sconfitta del referendum costituzionale, la scissione di D’Alema e Bersani e la messa in minoranza di Renzi , e contemporaneamente con l’acuirsi dei contrasti fra la Ue e gli Usa, si è aperta una fase nuova nel Pd che potrebbe portare ad esiti imprevisti. (2) <>. (Da “Il Giornale” del 7 agosto). (3) “Alla fine, sulla carta i più interessati potrebbero essere i produttori cinesi: con Ilva avrebbero il vantaggio di avere un avamposto in Europa, per loro un mercato di approdo. Senza contare gli interessi geopolitici del celeste impero. Uno dei più grandi produttori cinesi, Hebei, nel 2014 ha acquisito Duferco Trading, un grosso trader europeo dell’acciaio basato in Svizzera. Da notare: tra i primi produttori di acciaio al mondo sei sono cinesi, due giapponesi e uno sudcoreano. Forse è qui che un eventuale partner per Ilva andrebbe cercato”. (Dal Corriere della Sera, 8 novembre 2019). (4) Allo stato attuale la posizione più avanzata all’interno della maggioranza di governo è stata assunta da Fassina: [https://www.huffingtonpost.it/entry/ex-ilva-nazionalizzazione-e-dazi-per-salvare-lavoro-e-ambiente_it_5dc52330e4b02bf5793da4b7?utm_hp_ref=it-blog&fbclid=IwAR24TP3cHZf-5bHnyTfz0q311a4a_Mibel28Y7OgZuLKO0TSt8aVl4QzdlE](https://www.huffingtonpost.it/entry/ex-ilva-nazionalizzazione-e-dazi-per-salvare-lavoro-e-ambiente_it_5dc52330e4b02bf5793da4b7?utm_hp_ref=it-blog&fbclid=IwAR1AVlgyHy-eSbpOAan_vX0GRPiopw5eYvtMzX1gwmKi19ZNKVGE2oFVqEs)