ELEZIONI IN SPAGNA

ELEZIONI IN SPAGNA

– Se hai uno stallo politico e torni a votare dopo poco senza cambiare legge elettorale, o speri di avere avversari che nel frattempo si suicidano o tendenzialmente riavrai uno stallo, peggiore di quello precedente; – il PSOE ha non vinto; ora tocca al PP dimostrare se è vero che la responsabilità vale solo quando è la sinistra a immolarsi “per il bene del Paese”; – la questione catalana resterà a lungo il crinale su cui si muoverà la politica spagnola, il ritorno alla situazione pre-2017 mi pare francamente impossibile; interessante il risultato nella regione, con l’indipendentismo che si sposta (un po’) verso sinistra – contemporaneamente spingendo a destra l’elettorato in altre zone – ma non ottiene (ancora) la maggioranza, neanche nel clima rovente di questi mesi; – scopro dell’approdo degli indipendentisti galiziani in parlamento, formazione da me derisa durante il mio tour nel nord della Spagna del 2017: un altro punto – dopo i neoborbonici, gli scozzesi e i catalani – che mi rende a questo punto il Maurizio Mosca dei movimenti indipendentisti (amici indipendentisti sardi e del Tlt, avete una speranza); – soprattutto, il risultato di Podemos e Ciudadanos dice che l’esito ultimo dei movimenti civici-populisti, all’insegna del riscatto della società civile contro la politica, indipendentemente dalla loro matrice politica è stato favorire l’esplosione della destra. Oggi in Spagna, ieri in Italia: la risacca dei movimenti “indignati” ha portato acqua al mulino della destra più bieca. E non parlo solo della Lega, penso anche al 1992 e al Msi. A Vox serve solo un outsider che decida di far saltare il tappo. Attaccando i partiti, i “cittadini” hanno finito per attaccare la base stessa della democrazia rappresentativa, delegittimandola. Esaurita la loro funzione (per mancanza di risultati, per compromissioni con “il sistema”), hanno preparato ampie porzioni di elettorato all’extrema ratio dell’estrema destra. Quella che non è mai scesa a compromessi, quella che – in una democrazia ormai privata di qualsiasi epos, di qualsiasi mito – conserva intatta la sua retorica della Nazione. Abbiamo costruito una politica postideologica, “del fare”. Ma è evidente che la politica non può “fare” tutto ciò che l’elettorato si aspetta, o comunque non nei tempi sperati. È lì che dovrebbero subentrare gli elementi ideali, per non dire ideologici. E quest’era del “fare”, ben lungi dal realizzare poi granché (perché per motivi ideologici gli Stati sono stati privati di buona parte del proprio potere – e no, non parlo dell’UE), ha prodotto il ritorno alla mistica. La mistica del Capo e della Patria, della Grande Spagna (o altri, a piacere). Una retorica che al momento è esclusivamente tale e anche a buon mercato, visto che le conseguenze – dalle guerre commerciali a quelle con l’elmetto – sono lontane dal nostro orizzonte. In questi anni Venti sta vincendo la mistica, il sogno, l’utopia. L’America “grande come prima”. L’Italia che “viene prima”. Il Regno Unito che “riprende il controllo”. La Spagna “una, grande y libre”. Ricordatelo ai ragionieri.