LIBANO. LA RETORICA ACCATTIVANTE E LA RISIBILE INCHIESTA SULL’USO DELLA VIOLENZA

Se devo essere sincero, trovo risibile l’annuncio di una “inchiesta” sull’uso eccessivo della violenza in questi mesi in Libano, sia tra manifestanti che tra manifestanti e forze dell’ordine, in linea di massima. È sempre molto accattivante la retorica del paese mediorientale nel caos e nel sangue ma francamente quel che si è visto in piazza è al massimo paragonabile, nel peggiore dei casi, a quel che avviene spesso di fronte agli stadi in Italia, tra hooligans o tra hooligans e polizia. Rispetto a quanto accaduto in questi giorni sulla fondamentale arteria del Ring, nel centro di Beirut, finalmente i media si sono accorti di una cosa che nel mio piccolo rilevavo di persona già due-tre settimane fa (mentre si parlava di gente misteriosa inviata da chissà chi, venuta da chissà dove), e cioè che gli uomini che hanno aggredito i manifestanti sulla strada e attaccato le tendopoli in piazza dei martiri sono perlopiù residenti dei quartieri limitrofi (dove ho vissuto il primo mese della mia esperienza libanese) di Basta, Bachoura e Khandaq El ghamiq, cioè un’area all’interno della stessa Basta, a maggioranza sciita e abbastanza povera, sebbene centrale. Un altro aspetto evidente ma poco raccontato è quello che racconta una complessità ulteriore, cioè la partecipazione nella protesta di affiliati di partiti di opposizione cristiana (forze libanesi in particolare), che però poi allo stesso tempo, nei quartieri cristiani, intimidiscono o aggrediscono – come altri affiliati, molto più raccontati poiché sciiti – chi offende i loro simboli o i loro zu’ama (in particolare la figura del defunto Bashir Gemayel). Cerchiamo in ogni caso di mantenere realismo, lucidità, senso delle proporzioni, e di non indulgere in descrizioni fintamente suggestive, assecondando la narrazione della violenza irrimediabilmente intrinseca al mondo arabo. Sempre nella pretesa implicita di pensarci più civili, e in definitiva migliori