“NON HO AMICI”. LE DICHIARAZIONI DEL CEO BRITANNICO E LA SOLITUDINE DEI VINCENTI

“NON HO AMICI”. LE DICHIARAZIONI DEL CEO BRITANNICO E LA SOLITUDINE DEI VINCENTI

“Non ho amici. Fa paura ammetterlo, soprattutto qui su LinkedIn, ma è la verità”. Esordisce così, il video postato su LinkedIn del CEO britannico che nel giro di pochi giorni ha fatto il giro del mondo, riscuotendo un inaspettato successo accompagnato da reazioni e messaggi di vicinanza, quando non di immedesimazione. Se dovessimo sentirne solo le parole, immagineremmo una specie di disadattato, dietro la cinepresa; una sorta di outsider, di quelli che a furia di essere derisi ed emarginati, ci entrano davvero, nei panni di quel ridicolo personaggio che è stato cucito loro addosso. E invece, oltre lo schermo si palesa nientedimenoché Mark Gaisford, un belloccio di 52 anni in carriera, snello, forse con qualche capello in meno rispetto agli stereotipi più stereotipati, ma in fin dei conti anche quelli sono passati di moda, quindi si può dire con certezza che il protagonista di questa dichiarazione sia tutt’altro che un “looser”. Ma non si fa in tempo ad affezionarsi alla notizia, che già esce fuori la smentita: “Attenzione, io non soffro di solitudine” spiega a Repubblica il volubile manager “sono felicemente sposato, ho due figli, dirigo un’azienda di successo. Sento tuttavia la mancanza di amici maschi con cui andare al pub o allo stadio. E ora ho scoperto che sono in tanti ad avere lo stesso problema”. Dunque, sposato con famiglia al seguito e anche un bel lavoro. Cosa sarà, allora, questa solitudine? E soprattutto, chi saranno tutte queste persone che si identificano nel suo status? Basta fare un giro sui social network per rendersi conto che l’isolamento sembra una malattia ampiamente superata, da qualche decennio a questa parte, soprattutto grazie all’uso delle tecnologie: le persone hanno la possibilità di rimanere connesse 24 ore su 24; amici e amanti che abitano in parti opposte del globo, superano per la prima volta qualsiasi barriera fisica, e la non reperibilità è diventata un lontano nemico battuto sul campo da centinaia di diabolici dispositivi. L’argomento chiama a sé diverse riflessioni che potrebbe essere interessante provare a snocciolare per cercare delle risposte. Allontanandoci dal modello un po’ datato del grande manager che guadagna tanti soldi, ma si ritrova solo perché ha sacrificato i rapporti in nome della carriera, dobbiamo provare a cercare attraverso percorsi alternativi, anche perché chi ha risposto condividendo questo sentimento, probabilmente manager non è, quindi occorre cercare altrove. Il primo imputato è senza dubbio la tecnologia: sempre connessi, eppure sempre più soli. Che uno schermo con due nuvolette che parlano, solitamente una bianca e una di un altro colore, non sia un valido sostituto di un incontro faccia a faccia è cosa risaputa. Quello che forse ci si chiede un po’ meno è quale valore si dia alle vere occasioni di incontro laddove si hanno altre 600 connessioni da tenere in piedi in quello stesso momento. “Allontana le persone vicine, avvicina quelle lontane. Cos’è?” L’indovinello è di qualche anno fa, quando le prime chat hanno cominciato a invadere i nostri spazi privati, ma ancora oggi rimane quanto mai attuale. Basta farsi un giro per qualsiasi spazio pubblico per appurare quanto questi preziosi rettangolini neri pieni di funzioni che teniamo fra le mani abbiano ammazzato qualsiasi forma di dialogo e confronto. Anche se impugnati per un momento, anche se per dare una risposta al volo, è inevitabile che interrompano un filo che bisogna ogni volta ricreare con chi abbiamo davanti. Che questo contribuisca a un appiattimento di quegli stessi rapporti è un’ipotesi percorribile, ma sicuramente da sola non basta a giustificare questo diffuso senso di solitudine. Un altro elemento da tenere in considerazione è legato al valore che a livello culturale viene oggi attribuito all’amicizia. C’è una interessante contraddizione nel video di Gaisford, poiché nella prima parte parla della propria mancanza di amici come persone con cui “uscire e fare passeggiate”, mentre nella seconda, come persone con cui “parlare di cose serie”. È vero che una cosa non esclude l’altra, ma quello che si tende oggi a diffondere in modo sempre più capillare è un’idea di amicizia come nucleo di persone con cui fare cose e trascorrere il proprio tempo. Forse è azzardato definire anche questo concetto come deriva di una mentalità neo-liberista trasferita anche ai rapporti; tuttavia parlare di una certa “mercificazione” delle relazioni non è del tutto sbagliato: se una volta l’amicizia era vista come quella cosa rara, che nasce da un certo feeling che si stabilisce con le persone che incontriamo lungo il nostro percorso e che possono in seguito diventare compagni di pizze, birre, passeggiate o merende che dir si voglia, oggi, soprattutto in certi ambienti, sembra che quel feeling sia passato in secondo piano e il rapporto tra le due forze si è letteralmente invertito, mettendo il cosa fare in primo piano rispetto al “con chi”. L’esigenza di condivisione prevale in questi casi sulla scelta delle persone con cui condividere le proprie esperienze; ecco quindi che dietro la fitta rete di utenti che ha risposto al manager condividendo il suo isolamento, potrebbero nascondersi i protagonisti di foto intorno a tavolate piene di persone, pranzi, banchetti o party che siano. La solitudine è diventato uno spauracchio sempre più difficile da affrontare, eppure, probabilmente, è l’unico male la cui medicina consiste nel male stesso: la mentalità dell’accumulo si è trasferita anche ai rapporti; i social network hanno senza dubbio dato un importante contributo a questa deriva, ma non ne sono l’unica causa. Una volta per colmare i vuoti si compravano oggetti, oggi si comprano esperienze. Esperienze che non possono certo essere consumate in solitudine – pena essere etichettati come “looser” – e allora la necessità di cercare qualcuno con cui andare allo stadio o a bere una birra prevale su tutto il resto. Tuttavia, in questo modo la persona viene svuotata del proprio senso più profondo e ridotta alla mera funzione di compagnia. Una compagnia che non soddisferà mai la nostra vera esigenza di rapporto con l’altro e di arricchimento attraverso uno scambio dove è l’empatia a farla da padrone. Mancanze che generano quel senso di isolamento anche in una vita condita da una famiglia, un bel lavoro e degli ottimi colleghi. Forse la soluzione è nella capacità di ritrovare un dialogo vero, con gli altri. Forse è nella capacità di ritrovare un interesse vero, nella vita. Forse è nella capacità di riprendere davvero, ad amare.