SUL DRAMMA DI JAMAL KHASHOGGI

SUL DRAMMA DI JAMAL KHASHOGGI

Una sentenza che salva le teste che contano e ne sacrifica – forse – delle altre. E’ questo il significato del verdetto per il dramma di Jamal Khashoggi, l’esule saudita scomparso all’interno del consolato di Istanbul il 2 ottobre. Dopo nove udienze, svoltesi nel più grande riserbo, un tribunale del regno si è pronunciato: cinque condannati a morte e lunghe pene detentive ad altri tre complici. Nessuna conseguenza per le figure più importanti, quelle vicine al principe Mohammed. Il suo consigliere e mente nel contrasto agli oppositori, Saud al Qahtani, è stato indagato ma poi prosciolto senza processo. L’ex numero due dell’intelligence, Ahmad al Asiri, assolto per insufficienza di prove. Libero, perché aveva un alibi, Mohammed al Otaibi, il console in servizio nella città turca al momento della scomparsa. Per i magistrati la responsabilità dell’omicidio ricade tutta sul team mandato da Riad in Turchia con il compito di catturare Khashoggi. Uno scenario fatto a posta per scagionare la gerarchia politica e dunque Mohammed, considerato da molti il vero mandante. In base a queste valutazioni potrebbero finire sotto la spada del boia Maher Mutreb, un funzionario comparso spesso nei viaggi all’estero del principe e che aveva la responsabilità di guidare il commando. Stesso destino per Salah al Tubaigy, l’esperto di autopsie sospettato di aver sezionato il cadavere della vittima all’interno dell’edificio. Ma non pochi osservatori mettono le mani avanti, non escludono che i due presunti esecutori alla fine possano evitare la punizione. Anche perché il gioco è rischioso. Altre pedine, chiamate a missioni speciali, potrebbero cercare tutele e garanzie al fine di non essere scaricate. Ma siamo nel campo delle supposizioni in un paese con dinamiche non convenzionali, dove i rapporti diretti contano molto di più della Legge. Diverse le reazioni alla notizia. Protestano le associazioni per i diritti umani, sdegnata per la clemenza. Il figlio del giornalista, Salah, invece si è affidato a twitter per esprimere la propria soddisfazione: «Giustizia è fatta, abbiamo fiducia nel sistema giudiziario a tutti i livelli». Ovviamente non c’è alcun modo di autentificare questo post. Gli Stati Uniti hanno parlato di un primo passo e sollecitato trasparenza, appello che risente delle polemiche vive. Media e Congresso sono stati molto più duri rispetto al presidente Trump, preoccupato di salvaguardare il suo legame speciale con l’alleato, un rapporto coltivato anche dal genero Jared Kushner. Negativo il commento della Turchia che in questi mesi ha esercitato pressioni sui sauditi facendo trapelare elementi raccapriccianti su quanto era avvenuto all’interno della rappresentanza diplomatica. Con Khashoggi attirato nella trappola, aggredito, soffocato e poi trucidato in una sequenza dell’orrore registrata in audio e video. Compiuto l’omicidio il corpo sarebbe stato fatto sparire.