AUNG SAN SUU KYI, PREMIO NOBEL PER LA PACE CHE ASSISTE AL GENOCIDIO ROHINGYA

AUNG SAN SUU KYI, PREMIO NOBEL PER LA PACE CHE ASSISTE AL GENOCIDIO ROHINGYA

Con 134 voti favorevoli 28 no e 9 astensioni l’Assemblea generale delle Nazioni Uniteha approvato una risoluzione che condanna le violazioni dei diritti umani in Birmania contro la minoranza musulmana deiRohingya, che includono arresti senza processo, torture, stupri e morti in carcere. Nella risoluzione si invita anche il governo a combattere l’incitamento all’odio contro tutte le minoranze. Non è la prima volta che il governo birmano finisce sotto accusa. Già un anno fa la stessa Assemblea aveva annunciato l’intenzione di avviare un’inchiesta per crimini contro l’umanità nei confronti dei generali del Tatmadaw (l’esercito birmano) per il genocidio dei Rohingya. E qualche risultato è stato ottenuto: a seguito di un’indagine interna, è iniziato un processo militare contro alcuni soldati per le violenze commesse contro i Rohingya nell’agosto del 2017, che ha portato alla luce fosse comuni con centinaia di cadaveri parzialmente sciolti nell’acido presso il villaggio di Gu Dar Pyin. Paradossalmente a finire sotto accusa è anche Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la Democrazia e figlia dell’amatissimo generale Aung San (capo della fazione nazionalista del Partito Comunista della Birmania tra il 1939 e il 1941). Ottenne il premio Nobel per la Pace nel 1991 proprio per la sua coraggiosa difesa dei diritti umani contro l’allora dittatura militare. Dopo molti anni di arresti domiciliari e semilibertà a singhiozzo (1998-2010) vinse in modo schiacciante con il suo partito le prime elezioni democratiche del Paese nel 2015. Divenne Ministro degli Affari Esteri, della Pubblica Istruzione, dell’Energia elettrica e dell’Energia e Ministro dell’Ufficio del Presidente Htin Kyaw. Attualmente ricopre la carica di Consigliere di Stato del presidente Win Myint, una sorta di Primo Ministro. In questa veste è stata accusata dall’ONU di indifferenza e disinteresse nei confronti della questione Rohingya. Aung San Suu Kyi ha addirittura difeso l’esercito sostenendo che non si tratti di genocidio, pur ammettendo che un uso sproporzionato della forza da parte dell’esercito potrebbe esserci stato. Questa posizione criticata a partire dal 2017 ha portato molte istituzioni, tra cui il comune di Oxford e l’università di Bristol, a ritirare le onorificenze conferitele in passato per la sua difesa dei diritti umani. I Rohingya sono una minoranza etnica, di religione islamica, che parla una propria lingua legata a quella di Chittagong e al bengalese. Vive nello stato birmano del Rakhine al confine con il Bangladesh. Pur contando circa un milione di persone, non è inclusa nelle 135 etnie riconosciute in Birmania e non ha quindi diritto alla cittadinanza birmana. Oggetto di repressioni e persecuzioni, nel 2017 625.000 Rohingya vivevano nei campi profughi in Bangladesh e al confine tra Birmania e Thailandia, mentre 100.000 in campi per sfollati su territorio birmano con il divieto di abbandonarli.