ABBIAMO DAVVERO BISOGNO DI ARCHISTAR?

ABBIAMO DAVVERO BISOGNO DI ARCHISTAR?

Case popolari o comunque non di lusso acquistabiliABBIAMO DAVVERO BISOGNO DI ARCHISTAR?Importante la prima domanda presentata da Simonetta D’Amico, che ha scritto il post: abbiamo davvero bisogno di case popolari (in affitto o in vendita o in coop) firmate da archistar? Sicuramente no. Anzi, decisamente no. Abbiamo bisogno di giovani e più umili architetti che si applichino a studiare esattamente di che cosa esattamente può avere bisogno un quartiere popolare, che non può essere solo il frutto di indicazioni, il più delle volte sommarie, fornite dalla burocrazia comunale.Molto dipende dalla composizione sociale dei quartieri. Per esempio casermoni tipo Corviale (Plattenbau) sono presenti anche a Milano, in via Karl Marx, con zero verde e ancora meno servizi, nemmeno i negozi ci sono, ma sono tutti appartamenti venduti a riscatto alle famiglie, i cui condomini oggi curano benissimo la manutenzione. E’ una soluzione di cui tenere conto: cedere l’appartamento a chi lo abita aiuta notevolmente a combattere il degrado. Spero si apra un dibattito. Simonetta D’Amico4 gennaio alle ore 21:46Ma abbiamo davvero bisogno di case popolari firmate? Tra sperimentazioni e utopie i fallimenti delle progettazioni firmate dagli “archistar”.Mi occupo da alcuni anni di case popolari e ho avuto modo di conoscere e approfondire la storia e la genesi di vari interventi edilizi a Milano e in altre città italiane. In molti casi i progetti firmati da grandi architetti di fama internazionale si sono rivelati dei fallimenti veri e propri, non solo per l’incapacità amministrativa di portare a termine la realizzazione in tempi certi e celeri, ma a monte è la stessa idea progettuale che è stata puramente utopica e sperimentale, non calata nella realtà. Cito alcuni esempi davvero emblematici e drammatici :Il Corviale periferia sud di Romaprogettato da un team di 23 architetti coordinato da Mario Fiorentino; un edificio lungo un chilometro per 1.200 case popolari.Nelle intenzioni del progettista, Corviale avrebbe dovuto rappresentare un modello abitativo alternativo, in netto distacco dallo sviluppo urbanistico di Roma iniziato negli anni Sessanta che aveva portato alla nascita di interi quartieri completamente privi di servizi, chiamati “quartieri dormitorio”. Niente di tutto ciò, oggi è il simbolo del degrado e dell’emarginazione sociale di Roma.Le Vele a Scampia, Napoli nate a seguito della legge 167 del 1962, le sette vele di Scampia (progettate dall’architetto Franz Di Salvo) facevano parte di un progetto abitativo di larghe vedute che prevedeva anche uno sviluppo della città di Napoli nella zona est, ossia Ponticelli. Le Vele si rivelarono subito come edifici inabitabili, negli anni sono diventati un ghetto di illegalità per la camorra, il progetto del loro abbattimento è quasi arrivato a termine.Quartiere Zen PalermoIl quartiere, interamente costituito da fabbricati di edilizia popolare, si suddivide in due aree abitative, con diverse caratteristiche costruttive, comunemente definite come “Zen 1” e “Zen 2”. Lo Zen 2 si aggiunge a partire dal 1969 per opera dell’IACP palermitano su progetto dell’architetto Vittorio Gregotti, oltre la cerchia della periferia urbana allora in piena espansione, a tutt’oggi risulta un’entità separata rispetto alle aree circostanti. Microcriminalità, degrado architettonico e infiltrazioni mafiose caratterizzano il quartiere.Milano lotto 64 Case Bianche di Via SalomoneLe Case Bianche, (non firmate da archistar ma generate dallo stesso pensiero urbanistico) come vengono chiamate, presero il posto del quartiere Trecca, negli anni Ottanta. Nel 1976-77 vennero demolite le “Case Minime” e furono sostituite dai nuovi fabbricati detti “Case Bianche”, che ospitano quasi 500 nuclei familiari. La struttura architettonica è alienante e sicuramente non favorisce la socialità e l’aggregazione. Il cantiere di riqualificazione è partito con l’auspicio di dare un volto più dignitoso al quartiere.Quello che è sfuggito ai progettisti e soprattutto ai grandi architetti è che gli inquilini delle case popolari non arrivano da Marte, non necessitano di case “particolari” ma di alloggi dignitosi funzionali e belli (sì la bellezza è un valore) , di edifici costruiti sì con spazi di condivisione ma per favore risparmiamoci i camminamenti, i vicoli, i ponti, i cunicoli sotterranei che gli archistar ci hanno venduto come connessione e luoghi di socialità, mentre nella maggior parte dei casi sono diventati luoghi fortificati per i criminali. Come possono essere vivibili mostruosità come il Corviale o le Vele? Gli edifici popolari dovrebbero essere con max 80/100 alloggi diffusi in tutti i quartieri della città. Non quartieri separati e marginali, ma edifici interconnessi e compenetranti con il tessuto urbano.Gli architetti hanno dato spesso contributi più o meno consapevolmente negativi, ma non possono essere considerati capri espiatori. Ovviamente la responsabilità di questi fallimenti, non è addebitabile solo a loro, ci sono pesanti responsabilità amministrative e burocratiche, ma sicuramente la loro idea progettuale non è stata illuminata, tutt’altro.Concludo e condivido le parole di Insolera, quando gli proposero la candidatura a sindaco di Roma: “Un uomo, un’idea, un progetto, non cambiano niente. Può riuscirci solo un lavoro faticoso, paziente, di tante persone. Solo la società può cambiare la società” e aggiungerei la Politica.