E’ MORTO DILANIATO DA UN MISSILE QASEM SOLEIMANI
Lo hanno sorpreso nel cortile di casa iraniano, lungo la strada che dall’aeroporto porta verso Bagdad. Ed hanno usato undrone, il mietitore di Obama e Trump, l’arma preferita dai presidenti. Silenziosa, micidiale e spendibile. E’ morto così, dilaniato da un missile, Qasem Soleimani, il comandante della Divisione Qods, apparato clandestino dei pasdaran iraniani e grande regista politico della regione. Un atto di guerra che spinge l’intera regione verso l’abisso. E’ notte fonda, attorno alle 00.30 un velivolo proveniente dalla Siria atterra nella capitale irachena. I passeggeri – pochi – salgono sue due Suv. Oltre alla scorta, piuttosto ridotta, ci sono l’alto esponente khomenista e Abu Mahdi al Muhandis, leader della milizia irachena sciita Hashed, possente strumento di Teheran. I veicoli raggiungono una strada che costeggia lo scalo, imboccano un rettilineo. Chi è a bordo intravvede nell’oscurità il muraglione, qualche palma, dei cartelloni. Poi non hanno tempo di capire. Il mini-corteo è centrato dai missili sparati da un velivolo senza pilota. Le vetture sono ridotte in rottami, le fiamme consumano ciò che resta. E’ il caos. Nella zona sono segnalati degli elicotteri d’attacco Apaches, testimoni parlano di esplosioni di razzi, qualcuno ipotizza un loro coinvolgimento nell’operazione. Si diffondono le prime informazioni, quindi la conferma del target di alto valore annientato. Media aggiungono indiscrezioni – per ora senza conferme – sulla morte di un esponente degli Hezbollah libanesi, anche lui parte della delegazione. Forse il numero due, poi spunta il nome di Samer Abdallah, genero di Imad Mugnyeh, il terrorista che fino alla sua eliminazione nel 2008 ha collaborato con i servizi iraniani. Trame su trame. Sulla scena irrompe Trump. Posta su twitter una bandiera americana, è il prologo agli annunci ufficiali sulla missione. Washington spiega l’azione con la necessita di sventare altre minacce, c’era il pericolo di attacchi imminenti. Espressioni che si usano per le bombe a tempo, i kamikaze. Il senatore repubblicano Rubio aggiunge: Soleimani stava preparando un colpo di stato. The Donald, rincara la dose: il generale era responsabile della morte in modo diretto in indiretto di milioni di persone, avremmo dovuto ucciderlo prima. La Cnn sostiene che la Casa Bianca abbia dato luce verde solo negli ultimi 2 giorni. Trapelano altri dettagli sulla preparazione. Soleimani era sì l’uomo dei segreti, responsabile di un dispositivo «coperto», però – specie negli ultimi tempi – usciva dalla bolla di sicurezza/riservatezza per svolgere compiti speciali o sortite propagandistiche. Spesso hanno postato sue foto al fronte, vestito in mimetica e la trasmittente in mano. Al tempo stesso doveva guardarsi le spalle. Ricostruzioni ipotizzano una sorveglianza molto stretta da parte degli Stati Uniti, con intercettazioni e ricorso ai molti velivoli spia che pattugliano costantemente lo scacchiere. Lo hanno tracciato per essere sicuri che fosse davvero lui l’uomo a bordo del SUV. Probabile che abbiano avuto conferme dirette da informatori e «occhi» nelle vicinanze dello scalo per evitare errori. Ma chiariamo: non era Saddam infilato in un buco sotto terra. Sono dettagli che si aggiungono ad una catena di eventi repentini. I miliziani sparano sulla base statunitense a Kirkuk e uccidono una guardia privata, il Pentagono replica con un raid, i filo iraniani assediano l’ambasciata. Tornano i fantasmi delle prese d’ostaggi, la Casa Bianca grida che «non sarà un’altra Bengasi», alludendo all’uccisione dell’ambasciatore in Libia Chris Stevens. Per 72 ore sulle rotte che dagli Stati Uniti vanno in Medio Oriente appaiono in gran numero velivoli dell’Us Air Force: trasportano rinforzi, ma servono anche ad avere altri mezzi sufficienti per qualsiasi emergenza. Come le cannoniere volanti. Al primo distaccamento di parà e marines (quasi 5 mila soldati) si aggiungono altri 3500 militari, la cui partenza è stata annunciata ieri. In allerta la 173esima di stanza a Vicenza. L’Iran piange il «martire vivente», nomina il veterano Ismail Qaani suo successore, proclama tre giorni di lutto e promette una ritorsione «nel momento e nel luogo più opportuni». E’ la stessa guida Alì Khamenei a giurare punizioni pesanti. Le fazioni pro-Teheran presenti nella regione fanno da coro, per dovere e perché davvero legate al loro referente che le ha riempite di armi, risorse, motivazioni. In Israele scatta l’allarme, sa di essere sulla prima linea. Il Dipartimento di Stato invita i propri cittadini a lasciare l’Iraq, alcune compagnie interrompono i collegamenti aerei. Si sprecano gli appelli alla moderazione anche da parte di chi ricorre a metodi altrettanto sbrigativi (vedi Cina e Russia). Il prezzo del petrolio sale. Iraniani e americani si scambiano comunque dei messaggi attraverso gli svizzeri. E’ il Medio Oriente.
