BEN VENGA IL REDDITO DI CONTADINANZA
Quando, la scorsa estate, lessi sul Corriere l’appello della scrittrice Susanna Tamaro e del Prof. Andrea Segré, esperto di politiche agrarie presso l’Università di Bologna, per un ritorno al lavoro della terra ipotizzando perfino un reddito di contadinanza per i nuovi giovani contadini, provai una grande soddisfazione come sempre succede quando la propria visione di una realtà trova conferma.Da sempre frequento gli ambienti naturali dell’Appennino e nel tempo ho visto scomparire ampie zone aperte di praterie secondarie, formazioni erbacee di sotto al limite boschivo, a causa dell’abbandono da parte dell’uomo di pastorizia e agricoltura. L’intera dorsale appenninica è ormai costellata di paesini abbandonati assediati dal bosco che lentamente si riappropria degli spazi naturali. E’ un po’ come lo scenario di alcuni film thriller, dove persone in viaggio s’imbattono in centri abitati disabitati a seguito di una fuga di massa per una minaccia improvvisa.Un tempo la vita in quei luoghi significava fatica e lavoro…lavoro e fatica con piccoli redditi appena sufficienti per vivere dignitosamente. Oggi i progressi delle scienze agrarie consentirebbero meno fatica, meno chimica impiegata e quindi meno impatto inquinante, assicurando anche reddito, ammesso che tutto vada per il verso giusto. Già, il verso giusto. Sennonché i giovani, potenziali moderni contadini, per la maggior parte non sono figli di agricoltori e così non ereditano direttamente dai padri il know how agricolo, indispensabile per darsi alla terra. E così nella proposta appello della Tamaro e di Segré il cosiddetto reddito di contadinanza sarebbe affiancato, in un tempo determinato e non infinito, da una dose massiccia di formazione erogata dalle scuole agrarie che dovrebbero organizzarsi per dare il loro contributo ‘scolastico’ anche e soprattutto sul posto, piuttosto che in aula. C’è poi il problema dei finanziamenti per le nuove aziende agricole attraverso i PSR regionali spesso affiancati dai fondi europei e qui siamo alle dolenti note perché entriamo nella palude burocratica dove spesso sguazzano gli squali dell’intermediazione dei servizi ovvero soggetti terzi che si frappongono fra chi eroga fondi pubblici e chi dovrebbe riceverli. Ed è qui che deve inserirsi con più forza la politica, col supporto operativo di Coldiretti, semplificando la burocrazia di sistema per far sì che i soldi dei contributi d’investimento arrivino tutti e solo a chi ne ha bisogno.La nostra società ritroverebbe un suo equilibrio anche culturale se nelle campagne abbandonate tornassero contadini e allevatori, un po’ come giovani eroi muniti di fuoristrada, smartphone, software per la gestione delle coltivazioni e droni per verifiche a distanza sui campi, ma pur sempre lavoratori della terra. Si dovrebbe però con più efficacia indirizzare il consumo verso prodotti locali di filiera corta, più convenienti per qualità e genuinità, così da creare delle reti commerciali affrancate dalla grande distribuzione che ti porta a casa il frutto del Perù dopo una bella traversata sull’Oceano Atlantico, bruciando cherosene alla faccia del global warming..I dati statistici sono ancora lontani da una vera inversione di tendenza. Nel 2018 le aziende agricole condotte da under 35 sono cresciute del 5% mentre la produzione agricola italiana è cresciuta solo dello 0,6% (Coldiretti): trend positivo seppur modesto.Bene sta facendo Coldiretti con la sua struttura Coldiretti Giovani Impresa dedicata alle giovani imprenditorie agricole. In essa si fornisce supporto sul fronte del credito, start-up d’impresa e formazione tecnica con la possibilità di avere anche forme di tutoraggio.Il paesaggio italiano ringrazia per questo sforzo, seppure ancora insufficiente, insieme ad api e farfalle, amiche da sempre dell’uomo agricoltore.
