LA POLITICA? UNA GUERRA IN CUI SI COMBATTE PER FAR CAPIRE LE PROPRIE RAGIONI

LA POLITICA? UNA GUERRA IN CUI SI COMBATTE PER FAR CAPIRE LE PROPRIE RAGIONI

La politica, oggi, non è che la prosecuzione della guerra con altri mezzi, l’inverso di ciò che due secoli fa sostenne von Clausewitz. È uno dei successi del liberismo: aver fatto della politica una mera tecnica di sopraffazione, anche se senza apparati militari. La guerra non è solo violenza: è il lento strangolamento economico del Venezuela o dell’Iran da parte degli Stati Uniti con le loro sanzioni; è la corruzione delle élite africane per permettere il saccheggio delle risorse dei loro paesi e la diffusione del consumismo occidentale al posto delle tradizioni locali; è la disinformazione dei network televisivi e dei quotidiani in mano a miliardari e multinazionali; è la diffusione dell’individualismo, dell’avidità, dell’ignoranza, lo sradicamento dei popoli, la dissoluzione delle comunità, la cancellazione di antiche lingue, culture, l’accelerata estinzione di specie animali e vegetali, della natura non addomesticata. Immense risorse vengono investite in queste armi, efficaci e letali quanto gli eserciti: propaganda, pubblicità, nuove tecnologie, new media. Basti pensare ai miliardi che ormai sono necessari (e sufficienti) per eleggere un presidente americano; basti pensare alla legalizzazione delle mazzette, diventate lobbismo; basti pensare alle corporation che dominano il pianeta e che hanno budget più alti del PIL di molti Stati.Questa è la situazione. Per cambiarla occorre innanzi tutto comprenderla. La politica è ormai una guerra e in guerra non si cerca di far capire le proprie ragioni: si combatte. Il M5S non può permettersi di limitarsi a fare politica – tanto meno facendo finta che sia anti-politica, come purtroppo i suoi sostenitori qualunquisti. Il M5S deve imparare a fare la guerra. In guerra chi diserta è un disertore, chi tradisce è un traditore, chi non fa altro che denigrare la propria parte è un disfattista o un collaborazionista.La democrazia va preservata a livello di Stato: come dice la Costituzione, i cittadini “hanno diritto di associarsi” (art. 19) e più specificamente “di associarsi in partiti” (art. 49). Da nessuna parte sta scritto che abbiano diritto di minare dall’interno il partito di cui si sentano parte. Da nessuna parte sta scritto che una maggiore collegialità sia un diritto. In realtà non è neppure un bene, in particolare in un momento di grave pericolo come quello attuale. Per resistere agli attacchi serve soprattutto coesione. L’“organismo collegiale democraticamente eletto” proposto da alcuni senatori ostili a Di Maio è invece un tipico trucco liberista per indebolire il M5S trasformandolo in un partito clientelare come gli altri, dominato dalle correnti e facile preda delle lobby. È una provocazione che va respinta e i suoi promotori identificati come quinte colonne dei poteri che da anni osteggiano in tutti i modi il M5S. Come dicono i francesi, à la guerre comme à la guerre.