CARI EX PCI, SU CRAXI CONTINUATE A SBAGLIARE

CARI EX PCI, SU CRAXI CONTINUATE A SBAGLIARE

Ho visto ieri seraHammametdi Gianni Amelio. Lo davano in due sale dello stesso cinema, tutte e due piene. È un gran film, girato con mano leggera da un regista attento e padrone del suo tempo con attori formidabili, non soloPierfrancesco Favino, eccezionale, non soloRenato CarpentierieOmero Antoniuttio il soffertissimoVincenzo BalzamodiGiuseppe Cederna, ma anche la formidabileLivia Rossinel ruolo difficile diStefania Craxi “Un gran bel film” è una osservazione da spettatore, neppure particolarmente cinefilo che non può sfuggire, tuttavia, alla valutazione politica del lavoro di Amelio. Un primo risultato il regista e i produttoriAgostino e Maria Grazia Saccàl’hanno raggiuntotogliendo il dibattito su Craxi dal politicheseo peggio ancora dalladamnatio memoriae. Quando tanti spettatori vanno al cinema per vedere un film come questo, non vuol dire solo ricatturare l’attenzione di vecchi socialisti e di antichi comunisti, ma tornare a parlare a un pubblico che non ha creduto che la storia italiana sia cominciata conBeppe GrilloeMatteoSalvini. Il film tuttavia non risolve, né poteva, il “caso Craxi”. È probabile che chi sia entrato nella sala cinematografica con un pregiudizio favorevole al leader Psi lo abbia visto confermato. È credibile che altri abbiano mal digerito l’autodifesa strenua che Craxi fa di sé e alcuni commenti ascoltati in sala a fine proiezione fanno pensare che molti anti-craxiani siano rimasti tali. Tuttavia non credo che Amelio, che non conosco, né Agostino e Maria Grazia Saccà, che non conosco, volessero con il film dare una svolta alla lettura della vicenda umana e politica di Bettino Craxi. Volevano semplicemente raccontareuna storia dura, complessa, unatragedia italiana, con le parole e con il punto di vista della“vittima”. Perché di questo si tratta:Hammametracconta il punto di vista della vittima. Uso questo termine deliberatamente perché i vent’anni che ci separano dalla sua morte restituiscono appieno al leader socialista il ruolo dicapro espiatorio di un sistema politicoe l’obiettivo di una magistratura che si rivelò, anche in quella occasione, totalmente priva di umanità. Craxi èun uomo malato, che si è rifugiato nella sua casa tunisina e che combatte perché la sua storia non diventi storia criminale. Chiama gli altri partiti politici alla comune responsabilità del finanziamento illegale. È incazzatissimo con i comunisti o ex che, secondo lui, si sono avvantaggiati delle azioni di una procura che li aveva risparmiati. Si ribella ai compagni di partito, c’è un netto riferimento aGiuliano Amato, che non lo difendono. Sia Craxi sia Moro, anni prima, hanno la netta consapevolezza che la loro fine potrebbe travolgere non solo partiti, non solo il sistema politico, ma modificare le basi stesse della democrazia. Così è stato. Ma non se ne discute. Il “caso Moro” viene chiuso nella rassegnazione di una fine inevitabile e nel dibattito successivo (il solito) su quanto Stato ci sia dietro gli assassini. Nel “caso Craxi” c’è l’ottusità di chi non vuole uscire dal circuito mediatico-giudiziario. Lasciamo perdere Moro, ora. Il “caso Craxi” porta alla luce poche cose molto chiare.I socialisti dopo la morte del loro capo si sono dispersi, molti sono diventati combattivi militanti di destra. Nel loro orizzonte la storia del Psi inizia e finisce col leader più discusso, al punto che sono rare i dibattiti sull’intera e grandiosa storia socialista italiana. Per tantissimi socialisti il “caso Craxi” è la conferma dell’odio reciproco con i comunisti. Dall’altra parte abbiamo la cultura, e oggi la classe digoverno, giustizialista che con i “casi Craxi” ha trovato la legittimazione per creare movimenti politici, per arrivare al governo del Paese, dando il peggio di sé, come si vede quotidianamente. Nel mio mondo, quello ex comunista, alcuni hanno fattosforzi per restituire a Craxi la dignità del grande capo politico(dispiace molto che i socialisti e la famiglia Craxi tuttora non dicano una parola sui tentativi diMassimo D’Alema, allora premier, e di molti suoi “seguaci” di portare Craxi in Italia senza l’offesa della carcerazione e delle manette). Tuttavia questiex comunisti “revisionisti”hanno parlato solo a se stessi nel timore che l’anima antisocialista e anticraxiana, molto forte negli ex Pci, potesse ribellarsi. Il film aiuta invece questo processo. Aiuta a rimettere al centro l’uomo Craxi e il suo discorso politico. E aiuta a fare gesti esemplari. Avevo proposto che un gruppo di ex dirigenti dell’ex Pci si recasse adHammametnel ventennale anche scontando l’eventuale immorale presenza di Salvini. Alcuni dirigenti socialisti hanno chiesto aZingaretti di capeggiare una delegazione del Pd. Perché tanto silenzio? Perché accettare quest’ultimo ricatto dei perdenti della storia, cioè il mondo giustizialista e grillino, e rifiutare di fare i conti con un uomo, un partito, le sue idee, i suoi errori, l’orrore di una morte annunciatissima. Perché, mi chiedo, noi che siamo stati comunisti dobbiamo, vent’anni dopo, farci rinchiudere nel recinto di unacultura antipoliticaguidata da procure e da giornalisti? Deve emergere un punto di vista della politica che, sulla base di una seria ricostruzione – attendo di leggereil libro di Fabio Martini–, possa avviare unariconciliazione fra tutte le sinistredove non ci siano più figli di un dio minore, uomini di malaffare, puri senza macchia. Il “caso Craxi” non si chiuderà mai e non si deve chiudere mai. Il film ci parla anche dellospessore umano che dovrebbe avere la politica. Noi stiamo vivendo anni atroci in cui l’avversario non è solo nemico maun “oggetto” che deve essere annichilito. Chi ha visto il film capisce quanto dolore si crea, quando dolore si sparge (quel gruppo di gitanti ad Hammamet che insultano Craxi), quando ci allontaniamo da una società veramente civile.