MONOPATTINI ELETTRICI E SHARING MOBILITY. NUOVI MODELLI DI CONSUMO IN UN SISTEMA ANCORA VECCHIO

MONOPATTINI ELETTRICI E SHARING MOBILITY. NUOVI MODELLI DI CONSUMO IN UN SISTEMA ANCORA VECCHIO

I monopattini elettrici invadono le città italiane, e nel giro di pochi mesi diventano i protagonisti della mobilità urbana. Sarà capitato a tutti di vedere sfrecciare questi curiosi bipedi elettrici fra i marciapiedi o nelle strade del centro, e se qualcuno ha avuto un sussulto nel timore di vedere la povera vecchina di turno investita da un mezzo che le si materializzava alle spalle alla velocità di 20 km orari, non è andato troppo lontano dalla principale questione che ha travolto questa forma di mobilità alternativa: divieti, sequestri, limiti alla circolazione hanno investito per diversi mesi quella che sembrava un’ottima soluzione per chi doveva percorrere il cosiddetto ultimo miglio – ovvero quel pezzo di strada che divide la meta dalla fermata dell’ultimo mezzo pubblico – o per chi doveva addentrarsi nelle vie del centro. Il motivo principale è insito nel mezzo stesso: troppo piccolo e leggero per circolare nelle strade, troppo veloce, e quindi insidioso, per circolare sui marciapiedi. E così, quella che sembrava l’ascesa di una genialata si era trasformata, nel giro di poco tempo, in una vera e propria parabola: il Codice della Strada presentava diverse lacune nella regolamentazione del trasporto di questi mezzi, e di fatto finiva per penalizzarli. Risalente all’ormai lontano 1992, vietava l’uso di tavole, pattini o acceleratori sulla carreggiata, così come anche sui marciapiedi, e non facendo alcun riferimento – per ovvie motivazioni cronologiche – alla mobilità elettrica, di fatto questa finiva per assimilare la stessa normativa. Nulla di più complicato, per un mezzo a emissioni zero che si presentava come un’ottima alternativa al mezzo privato, non solo per motivi pratici, ma anche e soprattutto ecologici. Tutto questo aveva portato, non più tardi di qualche mese fa, a bloccarne la circolazione in diverse città, Milano in primis, la quale tuttavia non aveva mai smesso di manifestare il proprio interesse per la sharing mobility. È stato necessario un decreto ad hoc, firmato dall’allora Ministro dei Trasporti Toninelli, e pubblicato a Luglio 2019 sulla Gazzetta Ufficiale, per fissarne la circolazione, e permetterne, finalmente in via ufficiale, la sperimentazione all’interno dei centri, creando di fatto una nuova normativa: obbligo della patente del motorino per i minorenni che ne entrassero in possesso, necessità di una nuova segnaletica ad hoc all’interno dei comuni, limite massimo di velocità a 30 km/h e limitazione della circolazione alle aree pedonali e alle piste ciclabili. Una questione, per fortuna risolta, che ha rischiato di far perdere di vista il vero significato che un fenomeno come questo si porta dietro: questi pratici trabiccoli a due ruote anche chiamati e-scooter, si sono diffusi a macchia d’olio in tutte le città del mondo cosiddetto civilizzato, cominciando la loro avanzata negli Stati Uniti, per poi approdare in Medio Oriente e poi anche nel Vecchio Continente: la voglia, ma anche la necessità di trovare mezzi alternativi allo smog e alle stressanti ore in mezzo al traffico, spinge tutti a cercare sempre nuove soluzioni. La civiltà dei cosiddetti mezzi pesanti lascia sempre più spazio a soluzioni “green”, “smart” e tutti gli anglicismi del caso. E se le aziende si stanno evolvendo verso la cosiddetta Lean Transformation, ovvero quella pratica finalizzata a trovare soluzioni intelligenti per ridurre gli sprechi, non solo in termini di risorse, ma anche di tempo, anche i comuni cittadini stanno assumendo stili di vita sempre più leggeri, ecologici, intelligenti. Viene da chiedersi se questi nuovi modelli riusciranno a sopravvivere a lungo, all’interno di una società che non accenna ad abbandonare il modello consumistico su cui si regge in piedi. Quello che è certo è che i due fenomeni – ritorno all’essenziale da un lato, consumo sfrenato dall’altro – non troveranno a lungo ospitalità nella stessa dimora, pertanto, volendo fare un pronostico di neanche troppo lungo periodo, c’è da aspettarsi che prima o poi uno dei due decida di congedarsi.