CORONAVIRUS. MIGLIORA DOVE ANDAVA PEGGIO. ALTROVE E’ UN’INCOGNITA. EMILIA IN TESTA
Tasso di crescita del virus al 13 marzo. L’indice di gran lunga più significativo. Due modi di calcolarlo. Uno riguarda i rischi del sistema ospedaliero e calcola quanti contagiati ci sono attualmente (14955). Ma per capire la tendenza dei contagi è più significativo conteggiare tutti i casi, guariti e deceduti compresi, verificatisi fino ad oggi (17660) e rapportarli a tutti i casi verificatisi fino a ieri (15113). Il tasso che se ne ricava è di un 16,8% in più giornaliero. Molto elevato: di questo passo ci sarebbe un raddoppio dei casi ogni 5 giorni. Ma al suo interno si possono riscontrare elementi positivi. Da qualche giorno le aree con una situazione a dir poco tragica hanno registrato rallentamenti significativi. Oggi hanno riguardato non solo Lodi e Cremona, ma anche Bergamo, Brescia e la stessa Milano. Non è certo il caso di farsi prendere dall’entusiasmo. La situazione era già drammatica di per sé e un semplice rallentamento non risolve i problemi e nemmeno li riduce. Inoltre è bene aspettare qualche giorno per vedere se la tendenza si rafforza fino ai zero casi, come avvenuto a Codogno. Per giunta, come già lamentato, i dati non vengono forniti sempre allo scadere della ventiquattresima ora, né tutte le province li rendono noti puntualmente e in maniera omogenea. Per cui ci può essere una giornata sì e un’altra no. Vietato illudersi. Ma è un fatto che una frenata in Lombardia sembra essere in atto. Che in molte aree la progressione ha subito un rallentamento, sia in percentuale che in assoluto. Che anche Milano, FINORA, non è esplosa, per lo meno non quanto si poteva temere. E inoltre, con tutte le riserve di cui sopra, non possiamo dimenticare che una settimana fa il tasso di crescita viaggiava a livelli terrificanti come il 25% giornaliero. Che si sia portato sotto il 17% qualche cosa vorrà pur dire a sentire chi ebbe a monitorare la vicenda cinese. Tutte qui le riserve? Purtroppo no. Anche a causa delle differenti tempistiche nella rilevazione non esiste regione italiana che non possa riservarci incognite dietro l’angolo. Sperare che il picco arrivi presto e che di lì a non troppi giorni arrivi il crollo dei numeri, come in Cina, a Codogno e pure a Vo’ è lecito. Trasformare la speranza in previsione è poco meno che folle. Solo un assaggio delle incognite dietro l’angolo, area per area. In primo luogo l’Emilia Romagna, oggi in stato di allarme. Per una Piacenza fortunatamente coi numeri in caduta libera abbiamo la vicina Parma che, come una macchia d’olio, ne riproduce su scala solo di poco ridotta i lineamenti epidemiologici di pochi giorni fa. Ma se la macchia d’olio si allarga verso est potrebbe essere il turno di Modena, poi soprattutto di Bologna. Ma anche della fin qui parzialmente risparmiata Romagna, dove solamente Rimini, che ha già subito colpi consistenti, pare calmarsi un poco. Per 8-10 giorni l’assessore Venturi, un medico e uno dei pochi che parli con piena cognizione di causa, ci dice che non c’è da stare tranquilli. Per il resto d’Italia almeno quattro ordini di problemi. Le aree metroploitane. Perché se neppure per Milano si deve oggi abbassare il livello di guardia ormai raggiunto, tanto meno ci si può permettere di farlo per Roma, Torino, Genova e Napoli che qualche incremento non tranquillizzante hanno iniziato a registrarlo. Poi numerose aree del nord. Il Veneto, dove il raffreddarsi dei ritmi fino allo zero nel paesino simbolo di Vo’ Euganeo non è stato finora accompagnato da un’analoga e consolidata flessione nelle province circostanti. (Peraltro il Veneto fornisce i dati in maniera particolarmente difforme da altre regioni e il raffronto diventa particolarmente ostico). Il Piemonte dove ad un raffreddamento, speriamo non temporaneo, di Alessanria e Asti si accompagna un minaccioso incremento della capitale. La Liguria dove anche qui, per una Savona che pare in frenata, ci sono le altre province con numeri bassi ma tassi relativamente inquietanti, soprattutto a Genova. Discorso analogo può essere fatto per la Toscana (Firenze, ma ancor più Lucca e Massa Carrara, stando ai numeri odierni). Diversa la situazione delle Marche e in altre regioni “minori”: qui lo tsunami soffia da giorni su Pesaro e pare non abbia ancora iniziato a placarsi: 500 casi e tassi ancora intorno al 20% giornalieri non possono di sicuro lasciare tranquilli gli abitanti della provincia marchigiana. Ma nemmeno Ancona è fuori tiro e Macerata ha avuto oggi un sussulto che preoccupa. Analogo discorso, anche se più embrionale, ma che potrebbe diventare esplosivo se decollasse con ritmi simili agli ultimi giorni, è quello di piccole regioni come Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Parliamo non solo delle province, ma anche di città come Trento e Trieste. I numeri attuali sono intorno al centinaio di casi, ma se si protraesse il ritmo di crescita odierno ci sarebbe di che spaventarsi. Solo di poco più basso il livello di allarme in Umbria. Resta ancora il rimanente centro sud con le isole. Ancora una volta una raccolta dati a singhiozzo rende difficile un’analisi ragionevole. Possibile che in tante città di Sicilia, Abruzzo e Puglie i dati odierni siano uguali a quelli di ieri, mentre nei giorni precedenti i casi non erano mancati? Una situazione fonte di angoscia, perché si sa benissimo che qui, in caso di crisi, le strutture sanitario ospedaliere non godono della solidità delle regioni finora maggiormente colpite. Ma anche per le altre regioni centromeridionali vale un discorso di poco differente. Casi tra di loro diversi, ma accomunati da un elemento in comune. Quello di contribuire alla definizione di una situazione imprevedibile. Prendiamo volentieri atto di qualche segnale positivo, ma l’incertezza, nel complesso, è ancora all’ordine del giorno.
