IL NOSTRO GOLGOTA, FUORI DALLE MURA MA DENTRO I CUORI

IL NOSTRO GOLGOTA, FUORI DALLE MURA MA DENTRO I CUORI

Ci prepariamo in queste ore ad accompagnare, a restare al fianco, del nostro Vescovo Giovanni che percorrerà da solo, ma non solo, la via Crucis di questo nostro tempo di Passione.Lo farà venerdì 10 alle 17 intorno all’ospedale Santo Stefano nel rispetto di quei segni che il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini ha voluto compiere in questa Settimana Santa vissuta durante l’emergenza sanitaria.E lo faremo, insieme, seguendolo con la preghiera, attraverso i media o semplicemente condividendone il messaggio, in una singolare e rafforzata similitudine con quel tempo in cui Gesù si donò volendo redimere i peccati del mondo.La Settimana Santa nel suo procedere ci porterà così a ripercorrere non solo il Calvario del nostro Signore ma anche a farci sentire parte viva e partecipe del nostro tempo.Lo si farà in questo Ospedale, nel nostro “giardino” più bello, nel luogo dei grandi valori comuni, “nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo” Gv. 19,41). In quello stesso giardino nel quale doveva esserci quella roccia dove Giuseppe di Arimatea si era fatto scavare una tomba (Mt. 27,60: e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia). Ci viene chiesto come società che con i suoi medici e infermieri è nella trincea di una guerra non dichiarata dove il dolore e la disperazione sembrano non finire mai.Dove la morte non concede niente alle sofferenze di chi avvolge, dove la morte sembra vincere anche il bisogno di pietà, dell’ultima carezza, di quello sguardo consolatorio finale dei propri cari.Lo si farà nel senso di quella vera Croce che si riappropria del significato di questi giorni.Nel nome di quel Calvario che ricade su tanti ma che sorretto da tutti potrebbe esser più lieve.Lo si farà nella speranza di lenire tante sofferenze se riusciremo soprattutto, laicamente e concretamente, a rispondere al grido di aiuto non solo di quanti sono nel dolore ma anche di quanti, passato il terribile virus, avranno il bisogno, la necessità, di ripartire nel mondo.In questo il vescovo Giovanni, con la sua decisione di percorrere quelle “stazioni” intorno al Santo Stefano, non sarà solo.Con lui non ci saranno “solo” quelli impegnati professionalmente ed umanamente ai capezzali dei nostri cari, non ci saranno le tante sofferenze di quelli che non sono, non vogliono essere, segregati nei giacigli di dolore ma in vere culle fattive di speranza. Con il vescovo Giovanni ci sarà tutta la città, tutta la comunità, tutte le comunità di cui il nostro territorio è ricco ed insieme, tutti insieme, percorreremo quei passi che non solo vogliono portare alla Rivelazione ma, ancora di più, chiedono di stringerci, verrebbe voglia dire di “cingerci”, attorno al valore della più profonda umanità in attesa delle sfide che tutti ci attendono a breve.Ci sarà anche quel senso di responsabilità che impone di vincere anche le pericolose tentazioni a far passare questa Pasqua come ridotta e sminuita di fronte al dovere di rispettare quelle regole umane, ma anche spirituali che ci siamo imposti, ancora una volta, nel segno del vero bene.Come, a questo proposito, ha voluto ricordare il cardinale Bassetti, da presidente della CEI: “È tempo di responsabilità. Dov’è la nostra Fede? Nella Parola o in un luogo? Tutti noi viviamo nella condizione degli infermi che non possono partecipare alle celebrazioni: ci è data oggi la grazia di comprendere quanto sia dolorosa la limitazione”.Una “grazia” che non può esser regolata con il sistema delle file al supermercato, come ci ha ricordato lo stesso vescovo Nerbini. In attesa, dunque, della Pasqua di Resurrezione che ci metterà ancora di più nella prova, prepariamoci a questa Via Crucis, in questo calvario che laicamente sta a indicare anche quella fase lunga e dolorosa nella quale la salute della persona, pare abbia solo riferimento alle sue ultime ore di vita. Ma la consapevolezza di quel ch’è per troppi di noi non può farci rassegnare.Al tempo più triste, a quello dello sconforto il Cristiano, il laico, non può rassegnarsi.Così laicamente e cristianamente tutte le donne e tutti gli uomini hanno il dovere di reagire.Occorre farlo diradando ogni nebbia, cercando di far svanire quelle corazze rappresentate dagli egoismi, dalle indifferenze che ci siamo costruiti attorno.Occorrerà esser ancora forti queste questa pandemia avrà ancora da metterci tutti alla prova quando tanti corpi saranno guariti.Un richiamo rivolto a tutti, nessuno escluso a quel farci parte, in questo luogo, al Santo Stefano, al nostro Ospedale che in un parallelismo singolare è fuori dalle vecchie mura di Gerusalemme, “fuori dalle mura della città”, (cfr. Gv. 19,41 e Eb. 13,12) ma, allo stesso tempo, oggi più che mai è dentro la città, dentro cuore di ogni persona che vive sotto il cielo della nostra bella e cara realtà.