ARRIVANO I PROF. UNA COMMEDIA PER ADULTI, SOLO SE ACCOMPAGNATI DAI RAGAZZI

Sembra quasi una coincidenza che proprio nella settimana in cui studenti e insegnanti sono al centro delle cronache, esca un film come “Arrivano i Prof”. Eppure, tenendo conto che i calendari delle uscite in sala vengono stilati assai prima dell’arrivo dei primi trailer, proprio di fortuita coincidenza si dovrà parlare, anche se, vista la drammatica questione attorno a cui ruotano le suddette cronache, forse sarebbe stato meglio se questa coincidenza, invero neanche troppo fortuita, non si fosse verificata.Tratto da una graphic novel francese divenuta poi film (“Les Profs”), “Arrivano i Prof” racconta, in pieno stile “Comic”, la vicenda del disperato Liceo Alessandro Manzoni di Roma sul quale, dopo la promozione di un misero 12% dei propri maturandi, pende la grave minaccia di chiusura se nell’anno successivo non passano la maturità più del 50% degli studenti. È il procuratore in persona a lanciare l’impossibile sfida, il quale, di fronte all’inevitabile costernazione del preside, decide di intervenire offrendo una lista completa dei docenti che lo aiuteranno a salvarsi dall’inevitabile flagello: matematica, italiano, filosofia, educazione fisica, inglese, chimica, storia e latino. Formato in quattro e quattr’otto, il nuovo corpo insegnanti è pronto al confronto, anche se, vedendolo avanzare con passo solenne, non promette nulla di buono, forse per colpa di quel nonsoché di sgangherato…Capace di maneggiare la macchina da presa con grande maestria e con una certa originalità nello svolgimento della narrazione, grazie anche alla proliferazione di dettagli tipici del mondo del fumetto, Ivan Silvestrini mette in campo una pellicola che, nel complesso, si rivela un prodotto non adatto a un pubblico…adulto! Premesso che quando si realizzano pellicole così apertamente di denuncia la leggerezza è d’obbligo – pena il linciaggio – forse questa volta il giovane regista romano ha calcato un po’ troppo la mano e quella che poteva presentarsi come una commedia sagace in quanto estremamente tagliente e in grado di cogliere la vera trappola del nuovo sistema scolastico, si presenta come una commedietta per adolescenti. Nulla da ridire, a ognuno i suoi spazi, verrebbe da pensare, e ogni tanto è giusto che quelle tanto comode poltrone rosse siano occupate da qualcuno al di sotto degli “anta” – ma anche degli “enta” e perfino degli “enti” – ma se pensiamo che il messaggio finale è rivolto a qualcuno ben al di sopra di questo target, ovviamente sempre di età si parla, si può concludere che “Arrivano i prof” sia un film adatto ai genitori solo se accompagnati dai figli.Si parla di scuola, ovviamente, ma le dinamiche che sottendono la trama lasciano chiaramente intendere che, più che di scuola, si parla di “Buona scuola”, e di quel contorto provvedimento che ha ridotto le scuole al rango di aziende, presiedute da presidi-manager a capo di squadre di docenti più o meno qualificate – esattamente come le risorse umane di un’impresa che produce dentifricio – i quali, a seconda della prestazione svolta, fanno della scuola un prodotto di serie A, B o C. È la scuola® quella narrata e neanche troppo velatamente contestata, quella scuola® che se diviene di serie B o C rischia di rimanere senza consumatori, ovvero studenti, destinata, quindi al fallimento.E il collegamento con gli spiacevoli episodi che occupano le prime pagine dei giornali da dieci giorni a questa parte è inevitabile: giovani studenti che seviziano i prof prendendoli a parolacce quando non a testate con il casco. Perché non più studenti, ma veri e propri “clienti”, che, attraverso la retta dei genitori, pagano queste risorse affinché emettano un servizio.Forse non è questo totale stravolgimento dei ruoli l’unica causa di quanto stiamo leggendo e vedendo attraverso i nostri increduli occhi, ma partire dal presupposto che la scuola, in quanto luogo di formazione per chi affronta gli anni più delicati e cruciali della propria vita, non può essere un prodotto da mettere sul mercato, potrebbe essere un buon inizio per far sì che si riprenda un po’ di contatto con la realtà.