“INTIMATE AUDREY”. A LA SPEZIA UNA MOSTRA SULL’ATTRICE, ICONA DEL CINEMA

Ci sono i film. I film che ce la consegnano leggera, elegante, pura. Occhi grandi, passo svelto da ballerina, una delicatezza nei gesti regale e umile insieme. “Vacanze romane”, “Sabrina”, “Colazione da Tiffany”. Ma sono pochi, in fondo, i film nei quali Audrey Hepburn ha lasciato la sua grazia aristocratica e adolescenziale. Vorremmo di più. Vorremmo guardarla ancora. A questo desiderio risponde, da ieri, una mostra. In Italia, a La Spezia, si è aperta ieri la mostra “Intimate Audrey”. Audrey intima. L’ha creata il figlio, Sean Hepburn Ferrer, nato dal matrimonio dell’attrice con l’attore e produttore Mel Ferrer. L’avevamo vista a Bruxelles, la mostra: è lì che Audrey Hepburn era nata, lì la mostra ha avuto il suo battesimo mondiale. Adesso arriva per la prima volta in Italia. Sono momenti intimi che affiorano nelle foto. Audrey bambina. Un padre ufficiale britannico. Lei, adolescente felice, con le gambe nude. Lei su una barca a Venezia. Un’intervista video, nella quale dice “Ho sempre auto dei dubbi sul mio talento; sul mio cosiddetto talento”. Sembra davvero credere di essere un’attrice per caso. Eppure, è proprio lei una delle icone del cinema di tutti i tempi. I sorrisi più recenti, gli ultimi, li regala ai bambini africani che abbraccia e stringe, nei suoi viaggi da ambasciatrice dell’Unicef. Vediamo le foto della sua casa lontana da tutto, in Svizzera, in riva a un lago. Non amava Hollywood, non amava quel mondo nel quale contavano solo i dollari che avevi incassato con l’ultimo film. In quella casa, ha passato la sua infanzia Sean Ferrer. Lo raggiungiamo oggi, al telefono, nella sua casa italiana, in Toscana. Sean ama molto l’Italia, ha passato parte della sua vita a Roma, parla un italiano perfetto. Il che rende più facile esplorare, insieme a lui, il racconto della sua vita e la storia di sua madre Audrey. Sean, che effetto fa essere figli di una leggenda? “Con i miei figli, dovunque andiamo, facciamo un gioco: tre minuti per trovare la nonna. Se scendiamo a un aeroporto, a una stazione ferroviaria, nel centro di ogni città del mondo, entro tre minuti troviamo sempre una foto, una pubblicità, un poster con l’immagine di Audrey Hepburn. E allora non si tratta tanto di essere suo figlio, e ‘possedere’ qualcosa di privilegiato: Audrey è di tutti, è di tutto il mondo che la ama”. E’ stato difficile vivere sotto i riflettori? “Soltanto a Roma, dove sono andato a scuola, negli anni ’70. Quando uscivo da scuola e mia mamma veniva a prendermi, c’erano sempre i paparazzi. Non era proprio semplice”. Sua madre Audrey ha vissuto una vita che era un romanzo ancora prima di girare il primo film. Bambina, ha girato l’Europa. È come se nella sua persona si racchiudessero l’immagine dell’Europa e delle sue sofferenze. “Certo ha vissuto tutti gli orrori della guerra, del dramma che ha segnato la storia d’Europa. Il nonno era un uomo coltissimo, un grande cavallerizzo, parlava diciassette lingue. Nata in Belgio, fu mandata in collegio in Inghilterra: ma mentre era lì scoppiò la guerra. La fecero tornare di corsa in Olanda, sperando che Hitler rispettasse la neutralità dell’Olanda. Ovviamente non fu così”. E’ vero che rischiò la vita? “Ospitò, in casa, un pilota dell’aviazione britannica che era caduto col suo aereo. Se lo avessero trovato, ovviamente non sarebbe sopravvissuta. Poi subì infinite privazioni: una denutrizione che le impedì un corretto sviluppo muscolare, e le rese impossibile la carriera di ballerina”. “Nel 1951 faceva un piccolo film su una spiaggia di Montecarlo; ma quasi per gioco. Fu lì che la vide Colette, la scrittrice; stava cercando proprio una figura come la sua per interpretare ‘Gigi’, la commedia che andò in scena a Broadway. Lì, a Broadway, la notarono gli scout della Paramount, per girare il film ‘Vacanze romane’…”. “Vacanze romane” la fece entrare direttamente nel mito. “E l’ultimo atto della sua ‘scoperta’ lo compì Gregory Peck: che volle nei titoli il nome di mia madre grande quanto il suo. Anche se lui era già famoso, e lei sconosciuta. ‘Fra un anno questa ragazzina vincerà l’Oscar, se non mettete il suo nome grande nei titoli siete degli idioti!’, disse ai produttori Paramount. Aveva ragione”. Ha conosciuto tanti attori e registi, viene da pensare. Chi l’ha colpita di più? “Sono cresciuto sulle ginocchia di ‘zio Greg’, Gregory Peck. E ‘zio Billy’, cioè Billy Wilder, il regista di ‘Sabrina’, mi raccontava le storie della ninna nanna. A Los Angeles, una pasta fra amici voleva dire mangiare spaghetti con Dennis Hopper e Peter Fonda. Ma non avevamo, in famiglia, il culto del cinema”. Il regalo più grande che le ha dato sua madre? “Darci una gioventù normale. Non ha mai affidato i figli alle tate, ha pensato prima a noi che a se stessa”. E suo padre, Mel Ferrer, che ruolo ha avuto? “Era un uomo molto bello, alto, bravissimo schermidore. Era stato una star dei film d’azione, ma quando ha sposato mia madre aveva già quarant’anni, la sua carriera era in declino. E non ha più pensato alla sua carriera, ma a quella di mia madre: la ha circondata dei migliori produttori, maestri di ballo, scenografi. Si è dedicato alla carriera di lei”. Audrey invece sembrava quasi non amare la fama, i riflettori, i premi… “E’ vero. Ne è una prova la casa che scelse. In Svizzera, in mezzo al nulla, un posto meraviglioso, buono per le marmellate fatte in casa, ma non per incontrare produttori”. Il cinema è entrato nella sua vita anche come professione. Lei è stato produttore e regista. Come nacque il suo coinvolgimento nel cinema e perché a un certo punto si è fermato? “Nacque in modo molto semplice: era il 1981, il regista Terence Young, che aveva diretto i film di 007 con Sean Connery, era amico di famiglia; io studiavo Legge a Ginevra, non pensavo affatto al cinema. Lui mi disse: ‘Sto andando in Corea, perché non vieni a fare l’assistente di produzione?’. Da allora ho fatto diversi film come aiuto regista, ho prodotto ‘Ironweed’ con Jack Nicholson e Meryl Streep. Quando stavo per lanciarmi nella carriera di produttore, è morta mia madre e tutto è cambiato”. “Ho lasciato il cinema, e ho raccolto l’eredità del lavoro di mia madre. Ho creato l’Audrey Hepburn Children’s Fund, ho allestito varie mostre su di lei, ho scritto una biografia su mia madre. Il cinema è rimasto un hobby”. Lei è la persona che ha esplorato più a fondo la personalità di Audrey Hepburn. Qual è, secondo lei, il vero segreto del suo fascino, mai appannato? “Il fatto che la possiamo considerare ‘una di noi’, e non ‘una di loro’: loro inteso come le dive del cinema, le star. Diceva: ‘Un giorno scopriranno come sono davvero, e mi cacceranno fuori dal mondo del cinema’. Di sé, vedeva soprattutto i difetti. Noi sentiamo questa sua insicurezza, e facciamo istintivamente il tifo per lei”.