CRONACHE DAL FRONTE (25° puntata)

CRONACHE DAL FRONTE (25° puntata)

Da giorni mi chiedo se questo virus -in fondo, ma proprio in fondo, e a raschiarlo per tigna, solo per tigna – non ci abbia portato anche qualcosa di buono. D’altra parte se c’è un proverbio che dice “Non tutto il male vien per nuocere” una qualche ragione ci sarà. E invece niente, non riesco a trovare una sola risposta che possa darmi un po’ di soddisfazione. Ho subito scartato l’idea, cara a tanta gente che conosco, che questo virus ci abbia aperto gli occhi, mettendoci finalmente di fronte alle nostre responsabilità e alle contraddizioni del sistema capitalistico: puzza di ingenuità, mi son detto, rimanda a una visione ideologica che non mi appartiene più da tempo – troppo eco-catto-comunista, per essere più precisi – da aspiranti becchini ( con tutto il rispetto) di un capitalismo che non tirerà mai le cuoia. E in ogni caso – questo è stato il colpo di grazia, definitivo – sapere che la razza umana ha sbagliato tutto e che se non si pente rischia di fare un botto, beh, non mi fa certo stare meglio e mi pare una magra consolazione di questi tempi. Ho poi accarezzato per un po’ l’illusione zen dei tanti umanisti che vedono in questa nostra prolungata clausura la possibilità di un riavvicinamento al nostro io più autentico, l’occasione cioè per raggiungere la pienezza del sé, per recuperare il senso della vita, del tempo e delle cose. Ma è stato un attimo. In quello successivo già mi chiedevo come avrei fatto a sopportarmi, improvvisamente in armonia col cosmo e privo di difetti, e soprattutto come sarei riuscito a non soccombere sotto i pipponi mentali che già dilagano sui social e che questa visione decisamente olistica potrebbe ahimè sdoganare per sempre. Stavo quasi per desistere quando – ah, il destino – mi ha telefonato una mia amica, per dirmi che proprio grazie al virus era successa una cosa non bella ma bellissima: sua madre, ludopatica da anni, era sulla via della guarigione. Con la serrata di tutti gli esercizi commerciali, infatti, sono state costrette a chiudere anche le sale Bingo, veri e propri buchi neri in cui si smarrisce la dignità di tanta gente. E sua madre, vedova e sola, si lasciava sedurre da quelle squallide sale mangiasoldi come i topi dal pifferaio magico, entrandoci un giorno sì e l’altro pure, tutte le volte che ne incrociava una. Adesso che sono chiuse, la madre della mia amica – che all’inizio sarà stata un po’ disorientata, forse anche un po’ depressa – ha deciso di reagire e ha perfino ripreso a suonare il piano, facendo felice figli e nipoti che non ci speravano più. “Dal Bingo alla musica”, ha concluso la mia amica “e speriamo che sia così per sempre”. Non voglio dire che il virus ha sconfitto la ludopatia. So bene che c’è il gioco on line e mi risulta che in tanti abbiano trasferito la loro dipendenza nei casinò virtuali e sugli schermi del computer, senza battere ciglio. Altri ancora danno giù di testa, chiusi in casa, e in alcuni casi sfogano la loro aggressività sui familiari. Ma è vero anche che è l’occasione a far l’uomo ladro – oggi è il giorno dei proverbi – e forse, quando tutto sarà finito, la mamma della mia amica non sentirà più nessuna attrazione malsana passando davanti alle vetrine di una sala Bingo. A me questa storia ha fatto capire che di questi tempi è inutile discettare sui grandi sistemi. Meglio volare basso e godersi le piccole gioie della cattività. Io, ad esempio, sto imparando a stirare. E non mi pare poco. Vi assicuro che adesso, all’alba, nel silenzio di questa Roma deserta, lo sbuffo del ferro a vapore è tutta musica per le mie orecchie. Buona giornata. N.B. In foto, lui. E chi altri, oggi?