QUANDO È ACCADUTO CHE LE AGENZIE PUBBLICITARIE HANNO CEDUTO COMPLETAMENTE

QUANDO È ACCADUTO CHE LE AGENZIE PUBBLICITARIE HANNO CEDUTO COMPLETAMENTE

Tante volte vorrei chiedere al mio amico Francesco Taddeucci quando è accaduto. Quando è accaduto che le agenzie pubblicitarie hanno ceduto completamente, hanno obbedito agli ordini di aziende che vendono prodotti qualunque con i toni del discorso di Marco Antonio sulle spoglie di Cesare nella tragedia di Shakespeare (atto III, scena 2). Quando è accaduto che per convincere a comprare una merendina piena di schifezze si dovesse ricorrere a voci fuori campo più consapevoli di Martin Luther King nel suo discorso di Washington (I have a dream). Da quando i sogni di una generazione sono diventati la magia di un rigatone che cuoce nell’acqua bollente, come fosse la scena del passeggino nella “Corazzata Potemkin”? Era tempo che volevo chiedere queste cose. Poi è arrivato il Coronavirus. E il discorso di Marco Antonio, applicato al biscotto, al prosciutto e alla carta igienica, si è applicato ai medici che camminano al rallentatore fuori fuoco, sfoderando tutto il meglio delle scuole di scrittura creativa, e anche il meglio di certi attori che recitano in modo impostato il dramma di queste settimane con parole scelte nel catalogo delle emozioni spente. Hanno sostituito l’automobile misteriosa che corre per strade bellissime con i rallenty dei medici, con i sorrisi delle persone dai balconi, con i fermo immagine che sembrano fotografie da copertina di “Life”. E tutti parlano così. I giornalisti e conduttori televisivi, che paiono aver preso ripetizione di toni impostati, neanche fossero Vittorio Gassman quando leggeva le ricette di cucina come fosse Brecht. E purtroppo anche le persone comuni, intervistate, ora ripetono gli stilemi che sentono altrove. Perché è così che bisogna fare. Io vorrei chiedere come facciamo a uscire da questo disastro morale. Oggi ho sentito usare l’espressione: “i frammenti emotivi”. Da giorni a chiunque venga posta una domanda, una domanda qualsiasi, sento rispondere con un’espressione micidiale: «assolutamente sì». «Assolutamente sì» è pura medietà. È come “risposta esatta” nei quiz di Mike Buongiorno. Non esiste l’esattezza. Neanche nella scienza. E niente di affermativo può essere riconducibile all’assolutamente, avverbio degradato. Un tempo bastava un sì per mettere le cose in chiaro, ma oggi c’è bisogno di consolidare quel sì nel fragile regno dell’assoluto. Io vorrei anche sapere dove abbiamo sbagliato noi scrittori, quando abbiamo messo in circolazione parole che pensavamo restassero in romanzi complessi e invece sono state riadattate al regno dell’emozionale, della commozione, dell’ode. L’ode presiede a ogni ragionamento, a ogni lettura del mondo, a ogni dolore. L’ode, con la voce impostata, con il montaggio sapiente del cinema che abbiamo amato, con le parole assolute, con i sì che non aiutano nessuno, con il “ce la faremo”, è figlia naturale degli applausi ai funerali. Di questo svilimento del sacro che ha trasformato il nostro mondo in un pacco di pasta su cui inventare parole degne di un discorso da fine dell’apartheid, da retorica di nuove frontiere, dal “date una carezza ai vostri bambini”. Abbiamo sentito in queste settimane che tutto sarebbe cambiato, che saremmo stati migliori. Lo hanno ripetuto tutti pensando di essere a Hiroshima a ricordare quel bagliore nel cielo, l’orrore che ti si stampa negli occhi per tutta la vita. Abbiamo finto che questa seria e drammatica pandemia ci potesse trasformare in sopravvissuti, con lo sguardo intenso. E, finita la pandemia, quando sarà, sarà per tutti una festa di liberazione. Con i cantanti pronti a cantare, con i registi che girano, con i politici che sorridono al loro popolo e che hanno la calma serena di Alcide De Gasperi ai tavoli di pace nel 1945. Ma non è così. Non è questa cosa. È solo melassa. L’unica cosa che resta è quella via Crucis in piazza San Pietro, e il silenzio del Papa. Il silenzio di quella piazza ci salverà, forse. Ma non dobbiamo dirlo troppo perché poi finisce per essere retorico anche questo.