IL MAROCCHINO TORINESE CHE VOLEVA PORTARE L’ISIS IN ITALIA

IL MAROCCHINO TORINESE CHE VOLEVA PORTARE L’ISIS IN ITALIA

A Lanzo, in provincia di Torino, hanno arrestato un italiano di origine marocchina che si dava da fare nel reclutamento di ipotetici terroristi, disposti a farsi saltare in aria o pronti a guidare camion assassini su passanti inermi. Gli inquirenti dicono che lui stesso stava «preparando qualcosa», forse un’impresa, appunto, con un camion. •Non capisco l’espressione «italiano di origine marocchina».È molto semplice, purtroppo. Elmadi Halili, 23 anni, è figlio di immigrati marocchini, col padre muratore venuto da noi nel 1989, una bravissima persona che non ha mai dato fastidio a nessuno, s’è portato dietro la moglie e ha fatto nascere qui tre figli, due maschi e una femmina… La femmina, quando ieri all’alba si sono presentati gli agenti del nucleo antiterrorismo per arrestare Elmadi, s’è messa a gridare: «Avevi promesso che non l’avresti fatto più…» Mettiamoci in testa che si tratta di italiani, e sia pure di fede islamica e capaci di parlare arabo. L’ambiguità di Elmadi, diplomato perito elettronico come suo fratello, risulta chiara dalle interviste che i nostri colleghi hanno fatto alla sua insegnante di italiano, Ernestina Assalto, che è anche sindaco di Lanzo. «Me lo ricordo ancora seduto nel banco della scuola, alle medie. Se è tutto vero, vuol dire che nella nostra realtà evidentemente non aveva trovato una corrispondenza, non era riuscito a integrarsi, non la sentiva come casa sua…» •Cioè lo giustifica?L’hanno portato in questura e Halili gridava, un po’ in italiano e un po’ in arabo: «Vado in prigione a testa alta, giuro su Allah, tiranni che non siete altro». •Ma che cosa ha fatto in concreto?Gli inquirenti dicono che stava effettivamente preparando qualcosa con un camion. Era poi impegnatissimo a reclutare o a convertire italiani disposti al jihad e al martirio. Stava dalla mattina alla sera su internet, era entrato in contatto con islamici inglesi a cui aveva persino offerto dei soldi per le spese legali. È stato arrestato all’interno di un’operazione piuttosto vasta, tredici decreti di perquisizione a Milano, Napoli, Modena, Bergamo e Reggio Emilia. Il caso Halili e le perquisizioni seguono l’episodio di Foggia e dell’egiziano di 59 anni sposato a un’italiana che nel centro culturale islamico Al Dawa insegnava ai ragazzini a sgozzare gli infedeli, mostrando video e facendo leggere materiali forniti direttamente dall’Isis. •C’è una situazione? Quelli dell’Isis stanno pensando sul serio di far qualcosa da noi?Il ministro Minniti ha concesso a Francesco Bei della Stampa un’intervista molto preoccupata. «La caduta di Raqqa e Mosul, se da una parte fa venir meno l’elemento “territoriale” del Califfato, dall’altro aumenta la pericolosità dell’altra componente, quella terroristica. Perché lo Stato islamico è stato capace di arruolare 25-30 mila foreign fighters da circa 100 Paesi diversi. La più importante legione straniera che la storia moderna ricordi. Molti sono morti, ma i sopravvissuti stanno cercando rifugio altrove. Anche qui in Europa. L’esemplare indagine di Foggia ha dimostrato con prove solari uno scenario assolutamente agghiacciante. Una cosa che non ha eguali in Occidente» l’esistenza cioè di un centro per l’addestramento al terrorismo di bambini. Minniti ha ricordato che la strategia per arginare l’offensiva terroristica si basa su due pilastri: rendere trasparenti i discorsi che si fanno nelle moschee, obbligando gli imam a parlare in italiano, e proseguire nal lavoro internazionale, stringendo accordi con i paesi da cui provengono o possono provenire i terroristi. «Lo scorso anno abbiamo fatto 132 rimpatri, quest’anno già 29. Riportare questi soggetti nei Paesi di origine consente di intervenire all’inizio di una radicalizzazione prima che diventi un progetto terroristico. Questo ci pone all’avanguardia rispetto ad altre situazioni europee che purtroppo abbiamo sotto gli occhi in questi giorni». •Non potrebbero, questi terroristi o foreign fighters, sbarcare da noi sui barconi che trasportano i migranti?Sì, certo. Però rispetto a un anno fa gli abrchi sono calati del 72%. Grazie soprattutto alla collaborazione con le autorità libiche e tunisine. Due settimane fa la procura generale di Tripoli, in cooperazione con la Direzione antimafia e antiterrorismo italiana, ha emesso 200 mandati di cattura per trafficanti di essere umani. All’inizio di febbraio, poi, lo stesso Minniti è andato negli Stati Uniti per concordare con gli americani una linea d’azione condivisa in Libia. Il nostro ministro ha incontrato il segretario alla Giustizia Sessions, quello alla Homeland Security Nielsen, e il capo dell’Fbi Wray. Lì il discorso di Raqqa e Mosul, da cui migliaia di foreign fighters hanno preso la via del ritorno in Occidente, è stato approfondito. Minniti: «Prima del collasso militare del Califfato era difficile pensare che uno Stato terroristico in piena salute potesse utilizzare i flussi migratori per il trasferimento di risorse verso teatri d’attacco, in questo caso l’Europa. Un gruppo d’attacco è un bene nobile, e quindi non lo metti a rischio su percorsi abbastanza fragili. Invece nel momento in cui hai avuto una sconfitta militare, non è più un progetto, è una fuga. E la fuga si incanala verso le vie già aperte, che in questo caso sono quelle create dal traffico del flusso migratorio. Il problema non è solo che i terroristi possono transitare per la Libia, ma che si fermino per costituire piattaforme di attacco verso l’Europa». Gli Usa hanno presenza e quindi «capacità di lettura e conoscenza del teatro di Raqqa, che è una miniera di informazioni; noi l’abbiamo in Libia». La collaborazione è fondamentale per disinnescare la minaccia.