POLEMICHE SU SALONE DEL LIBRO E FASCISMO
Nella polemica casa editrice vicina a CasaPound (il cui proprietario si definisce «fascista nell’unica maniera possibile») al Salone del Libro – parole di Raimo – comunicato del direttore Lagioia – dimissioni di Raimo – si leggono posizioni divergenti e interessanti. Considero alcune cose:– gli editori vicini al fascismo, case editrici almeno ambigue, al Salone ci sono sempre state; è vero, nessuno pubblicava un libro del ministro dell’Interno del momento, però nessuno ha mai fatto molto caso all’ideologia di quegli editori, invero pochi;– il punto del post su Facebook di Raimo, a mio avviso, è la frase: «Ma da un po’ di tempo le cose sono cambiate». Parla dell’agibilità politica di CasaPound e di partiti e giornalisti e scrittori di estrema destra che fanno ormai parte del dibattito politico generalista, pubblicano per case editrici mainstream, fanno dibattiti pubblici cui partecipano politici organici a forze democratiche. «Cosa facciamo di concreto per opporci?», si chiede Raimo. Niente, rispondo io, in uno di quei casi, credo, in cui rispondere alla domanda retorica rende l’idea della drammaticità della questione.– A monte c’è l’evidente scostamento, la discontinuità tra articolo 21 della Costituzione («Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione») e legge Scelba che punisce la ricostituzione del partito fascista (che si ha quando «una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista»), e questo è lo spazio dove avviene il dibattito (chi decide che cosa è fascista e cosa no? Un giudice? Un comitato direttivo di una fiera del libro? Eccetera). Non ho un’idea. Confermo quello che ha scritto lo scrittore Stefano Sgambati: «Stamattina a colazione già mia moglie e io, in due, col pigiama, sull’argomento avevamo tre opinioni distinte e inconciliabili che poi si sono completamente capovolte nel giro di ventisei minuti, generando un buco nero che ha risucchiato il frigorifero»: a me è successa la medesima cosa, con la differenza che noi eravamo al bar e il buco nero ha risucchiato un ragazzo e un cane accanto a noi. Ho domande, quella più emotiva è: ma come diavolo devono essere stati gli anni ’70, quando ci si ammazzava per un volantino, un manifesto elettorale, dove c’erano spedizioni punitive e ricerche casa per casa dei militanti dell’opposta fazione, quando tra antifascisti e fascisti davvero ci si sparava? [Nelle fotografie: la redazione di Torino di Repubblica utilizza un linguaggio senza dubbio curioso, come se Raimo fosse un uomo «del clan» Lagioia; amabilmente sugli scaffali Fusaro con il nuovo per Utet (Fusaro da sempre pubblica con diffuse e autorevoli case editrici): Fusaro scrive per la rivista di CasaPound, si può dire che Fusaro è un filosofo fascista? Se sì, perché Utet e le altre gli danno spazio? Perché viene invitato in televisione? Se no, come si riconosce allora un pensatore fascista? Deve esporre Onore a Benito Mussolini in piazzale Loreto a Milano? E un pensatore «fascista» va censurato quando non parla di fascismo? Ecc. ecc.]
